La proposta del commissario Malmstrom estende ai paesi dell'Unione la normativa italiana su sequestro e confisca dei beni delle organizzazioni criminali, dopo anni di pressioni da parte di Libera e del network Flare. Roberto Paese, amministratore di immobili e aziende tolte ai clan: "Passo positivo, ma gli altri Stati membri dovranno accettare leggi meno garantiste". E restano tanti problemi sulla gestione delle imprese mafiose
La confisca dei beni mafiosi si estende all’Europa. Dopo anni di pressioni da parte delle organizzazioni che si occupano di criminalità organizzata, in particolare Libera e il network Flare, il Commissario Ue agli affari interni Cecilia Malmstrom ha presentato la proposta di una nuova direttiva che renderà più facile l’intervento sui patrimoni illegali negli Stati dell’Unione. Le norme proposte da Bruxelles hanno l’obiettivo di rafforzare i poteri degli Stati di confiscare beni, “anche quando l’indagato sia fuggito”, ha spiegato Malmstrom, e danno la possibilità “di congelare temporaneamente i beni, che rischiano altrimenti di scomparire”. L’obiettivo è “colpire la criminalità dove ci sono i suoi maggiori interessi, e riportare i profitti nel circuito dell’economia legale, soprattutto vista la crisi in corso”.
Secondo le Nazioni Unite, l’ammontare dei profitti criminali nel mondo è stato di circa 1.600 miliardi di euro nel 2009, pari al 3,6% del Pil globle. In Italia, una stima indicata dalla Commissione europea parla di 150 miliardi di euro per il 2011. Ma in Europa le somme confiscate sono finora una quota modesta: circa 800 milioni di euro in Italia, 281 milioni in Germania, 185 milioni in Francia, 50 in Olanda.
La direttiva riprende dalla legislazione italiana – riconosciuta come tra le più avanzate al mondo. La magistratura potrà colpire non solo i beni frutto di uno specifico reato, ma all’intero patrimonio di origine criminale, e sarà più facile colpire i beni intestati a prestanome. Una novità anche rispetto alla normativa italiana è rappresentata dall'”effettiva esecuzione”. Vale a dire che la situazione patrimoniale dei condannati sarà tenuta sotto controllo negli anni successivi, per impedire che il ‘bottino’ improvvisamente riappaia a fine pena. Tra le altre novità, la possibilità di attaccare i proventi di attività legate al cybercrime e corruzione.
Il network internazionale Flare (Freedom, Legality and Rights in Europe) ha lavorato a lungo per arrivare a questo risultato, nella convinzione che un crimine sempre più transnazionale, soprattutto nel giro dei soldi sporchi, non possa essere combattuto soltanto da leggi nazionali. “Colpire le mafie nel loro interesse principale, ovvero il profitto, è di capitale importanza per un contrasto adeguato”, commenta Franco La Torre, neo-presidente di Flare. Che ora propone di inserire nella direttiva “la possibilità di riutilizzare i beni criminali per usi sociali”, come già avviene in Italia grazie alla legge 109 del 1996 approvata sulla spinta di oltre un milione di firme raccolte da Libera. Il riutilizzo sociale, afferma, è “il vero valore aggiunto della legislazione antimafia in Italia”.
Quando la direttiva sarà emanata, però, la sua traduzione in leggi nazionali dei singoli paesi europei non sarà indolore. “La proposta presentata dal commissario Malmstrom riprende la normativa antimafia italiana, che è in assoluto la migliore d’Europa”, commenta Roberto Paese, amministratore di diversi beni sequestrati alla criminalità organizzata in tutta Italia. “E’ un passo sicuramente positivo, ma alcune delle nostre norme saranno difficilmente digeribili da altri ordinamenti. Penso soprattutto alle misure di prevenzione, che permettono di sequestrare beni, e in certi casi di confiscarli, molto prima di una condanna definitiva del proprietario”. Paese ricorda la grande operazione “Decollo” condotta dal Ros nel 2004 contro il traffico internazionale di droga. Ci furono decine di arresti in diversi paesi europei ed extrauropei, “ma solo le aziende di copertura con sede in Italia poterono essere sequestrate, con grande rammarico degli inquirenti”. In paesi come la Germania e la Spagna sono in vigore norme più garantiste, “ma spero che anche all’estero cresca la consapevolezza della gravità dell’aggressione mafiosa, e che i legislatori agiscano di conseguenza”.
Passando poi dalla normativa al lavoro sul campo, Paese conferma le enormi difficoltà che gli amministratori incontrano quando invece di beni immobili si trovano a gestire imprese sequestrate o confiscate. I rubinetti del credito si chiudono, clienti e fornitori si defilano e “noi amministratori giudiziari siamo soli contro tutti”. Intanto “le nostre parcelle vengono inviate, per legge, a chi ha subito il sequestro, magari detenuto in carcere, che naturalmente maturerà un certo risentimento… Spero”, conclude Paese, “che la discussione di questi temi a livello europeo porti a correggere quello che ancora non funziona qui in Italia”.