L'uomo aveva lavorato in Italia e pagato i contributi per 14 anni. Oggi, dopo un lungo iter giudiziario gli hanno dato ragione. Ma lui ha risposto di non gradire
Dopo una battaglia legale terminata la scorsa primavera con l’assoluzione dall’accusa di aver violato l’ordine di espulsione, e il diritto a un nuovo permesso, lui ha scelto di rinunciare al presunto Belpaese. “Mi trovo meglio in Ghana, dove ho sposato la mia compagna e ho trovato un lavoro”, ha risposto.
Frank, arrivato con un viaggio della speranza che gli aveva prosciugato i pochi risparmi, era riuscito a trovare un lavoro fisso nella Bassa modenese dopo un primo periodo di espedienti. Dal 1996 ha fatto il carpentiere in un’ officina meccanica, la S Z di San Prospero, assunto con regolare contratto a tempo indeterminato. Uno stipendio appena sufficiente per sfamare la compagna e i tre figli piccoli in Africa, nonchè pagare l’affitto dell’appartamento diviso con due connazionali, anche qui tutto a norma di legge. Una sola macchia: nel 2002 è stato trovato con in tasca qualche grammo di hashish, una detenzione considerata non ad uso personale ma a fini di spaccio. La condanna spesso fa scattare la revoca del permesso due anni dopo. Lui, che non ha più preso neppure una multa per divieto di sosta, ha fatto richiesta di nuovo permesso, riottenibile non prima di dieci anni, ossia nel 2014. Ma è arrivato prima l’ ordine di espulsione per violazione delle legge Bossi Fini, notificato a Frank nel settembre 2010 dopo un normale controllo di polizia in centro.
Il ritiro del permesso è stato motivato con la consueta formula della ‘pericolosità sociale’, la stessa utilizzata nei giorni scorsi per i giovani fratelli bosniaci Andrea e Senad, nati in Italia ma non registrati in alcuna anagrafe, oggi trattenuti al Cie.
La condanna del 2002 per alcuni grammi di hashish a fronte di una vita successivamente irreprensibile, non gli consentiva ancora, 8 anni dopo, di riavere il permesso di soggiorno subito richiesto formalmente. E a 8 anni dalla condanna per quei grammi di hashish, era ancora in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno che gli avrebbe evitato l’espulsione del settembre 2010. Eppure il carpentiere ghanese ha continuato a pagare l’imposta di registro per il contratto di locazione depositato all’Agenzia delle Entrate e i contributi previdenziali sostenendo le pensioni degli italiani, pregiudicati eccellenti compresi. Frank trascorse un mese al Cie, per poi venire imbarcato al volo per il Ghana senza poter assistere al suo processo. Nei mesi delle udienze i movimenti civili e i partiti di sinistra, Rifondazione Comunista e Sel in testa, hanno chiesto a gran voce il rilascio del permesso di soggiorno contestando sia le norme che l’atteggiamento di Questura e Tribunale. Il dibattimento, costellato più da rinvii che da vero confronto tra le parti, si è concluso nel marzo 2011 con l’assoluzione. Il giudice monocratico ha considerato il favor rei della direttiva europea sui rimpatri, che doveva essere recepita dal governo Berlusconi entro il dicembre 2010, e che obbliga a disapplicare la norma di diritto interno che dà luogo alle espulsioni. La stessa Questura di Modena ha poi fatto sapere di essere pronta a rilasciare il nuovo permesso. In quel momento dunque l’operaio sarebbe potuto rientrare in Italia, magari con tutta la famiglia. Ma, come spiegano ora gli amici, ha preferito restare nel suo paese. “Nonostante le condizioni di povertà dell’Africa, Frank ha ci ha risposto ‘no grazie’: nel frattempo si è sposato con la compagna, ha un lavoro in Ghana e l’unica cosa certa è che non tornerà più in Italia”. Ha già dato.