Mi capita quest’anno di far parte della giuria di una rassegna di cortometraggi. L’evento (giunto pian piano alla settima edizione, grazie alla benedetta testardaggine di un giovane appassionato, Federico Curci) è il “SolofraFilmFestival” con annesso premio finale, “La manovella d’oro”, e menzioni speciali per varie categorie. Durante la kermesse di tre giorni (23, 24 e 25 marzo prossimi), è in programma la proiezione dei corti in gara e dei ‘fuori concorso’. Quest’anno, la manifestazione ha come partner ufficiale il Centro Studi Cinematografici.
In quanto facente parte della giuria, dicevo, ho avuto l’opportunità di visionare i corti selezionati (in concorso e non) tra i 110 arrivati, di cui sedici dalla Spagna e 2 dal regno Unito. Tra questi, anche due musical ed uno di un’appassionata quindicenne.
I festival dei corti sono numerosi in Italia. Il genere è interessantissimo, anche perché – liberi da condizionamenti di mercato – registri, autori e sceneggiatori (per la stragrande maggioranza giovani o molto giovani) danno il meglio in fatto di creatività. Molti corti sono di ottima fattura e numerosi, tra quelli in concorso a Solofra (grande centro irpino, famoso distretto della concia), hanno già ricevuto premi, anche internazionali. I temi affrontati sono per lo più sociali e psico-sociali: vecchiaia, disabilità, disadattamenti vari, patologie e disfunzioni affettive, comunicative e relazionali, le questioni NoPonte-NoTav, giovani ed alcol, alienazione della vita moderna, i social network. Nessuno dei corti (almeno tra quelli selezionati), però, affronta la questione ‘crisi economica’ e i temi legati al precariato ed alla disoccupazione, neanche di striscio. Ho immaginato che siano come l’elefante rosa, così grandi e immanenti da sparire o da non ricordare per la loro tragicità italiana. Almeno per i dieci/quindici minuti di un filmato.
Un’altra circostanza ha parimenti destato la mia attenzione: la folta presenza di opere iberiche, e – segnatamente – catalane. La nazione spagnola ha dedicato molte risorse all’incremento delle attività artistico-cinematografiche e si nota. Anche l’anno scorso (quando vinse il corto di una regista di Taranto che narrava del degrado della sua città, per via dell’Ilva) erano in concorso mirabili opere spagnole (una su tutte “Intercambio”). In Italia – è stato detto nel bel dibattito che si è svolto dopo la selezione dei finalisti – le Regioni che investono di più sull’industria cinematografica, in termini di incentivi, promozioni e sostegno anche ad autori indipendenti, sono la Puglia e la Sicilia.
Durante la rassegna verrà anche proiettato un documentario molto particolare, “La Valle del Fiume Sabato”. Nel ’49 un emigrante irpino, Carmine De Vito, tornò dagli Usa (dove era giunto dodicenne) e riprese con la sua 16 mm innumerevoli scene di vita del suo paese di origine, Tufo (patria del Greco e antica zona mineraria), per non recidere mai le sue radici. Tutte queste riprese sono tornate in Italia sessantun anni più tardi, grazie alla figlia, Patricia DeVito Moore, e riassemblate (dopo 700 ore di lavoro intenso) da un appassionato documentarista, Mario Perrotta, in una ventina di minuti che rendono in maniera strabiliante il senso di un’epoca, di una vita e di una terra disperata, dando concretezza ai ricordi e testimoniando la genesi del sogno americano per tanti Italiani. Questo documentario riceverà la menzione speciale da parte dello SPI-CGIL irpino, per le tematiche sociali legate all’emigrazione, alla terza età ed all’ambiente (si racconta anche il degrado del Fiume Sabato nei decenni).
Aver l’opportunità di far parte della giuria è una gran bella esperienza per me, forse perché sono rimasta una nostalgica dei cineforum (con dibattito!) della mia adolescenza. Mi piacciono i corti, mi fanno soffrire, mi tormentano ‘emozionalmente’, talvolta mi sconvolgono per la bravura e le innovazioni nei montaggi. Saranno pure corti, ma il pathos di queste mini-opere è incredibilmente intenso. Un ‘corto’ è una perla, una testimonianza, un insegnamento ed un rimescolamento cognitivo e sensoriale.
Marika Borrelli