L'ex membro del board della Bce scrive sul Financial Times: i due paesi sono in condizioni simili a quelle che hanno portato Atene sull'orlo della bancarotta. La soluzione in un ampliamento delle risorse dei fondi salva Stati (Efsf e Esm) e un nuovo coinvolgimento del Fondo monetario internazionale
Se vorrà scongiurare il materializzarsi di una nuova “tragedia greca” anche in Irlanda e Portogallo, l’Europa e il Fmi dovranno essere pronti a versare nelle case di Dublino e Lisbona aiuti per circa 180 miliardi di euro. Lo sostiene Lorenzo Bini Smaghi in un articolo pubblicato oggi nell’edizione online del Financial Times. Se è vero che il Portogallo potrebbe essere impossibilitato a finanziarsi sui mercati prima del 2016, questo significa che il Paese avrà bisogno di “un ulteriore aiuto per circa 100 miliardi” scrive l’ex membro del comitato esecutivo della Bce. “La stessa cosa – aggiunge – potrebbe essere fatta per l’Irlanda che necessita di altri 80 miliardi”. Parole che suonano come un avviso nei giorni in cui le borse celebrano i loro record post-crisi, mentre la Bce rivede al ribasso le prospettive del Pil in Europa pur rimarcando l’efficacia delle proprie iniezioni di liquidità nel “contenere gli effetti di contagio della crisi del debito sovrano”.
L’interpretazione della Bce non è sbagliata. Lo sblocco dei prestiti al settore bancario sta producendo in effetti conseguenze più che evidenti sul fronte dei titoli di Stato. Spagna e Italia continuano a sperimentare un calo dei rendimenti e un abbassamento dello spread con il bund tedesco, il principale punto di riferimento in fatto di stabilità. La buona notizia, insomma, è che il temutissimo effetto contagio che avrebbe dovuto passare dalla Grecia all’Italia, ovvero da un’economia contenuta ad una troppo grande per essere salvata, appare davvero scongiurato. La cattiva, lascia però intendere Bini Smaghi, è che a fronte del collasso greco e, verrebbe da aggiungere, dalle mai sopite spinte alla speculazione ribassista, a rischiare siano i mercati più piccoli della periferia. Portogallo in primis.
Il differenziale di rendimento tra i decennali portoghesi e i bund oscilla ultimamente tra i 1.100 e i 1.200 punti base con i decennali lusitani che segnavano oggi un 13,7% di rendimento. In mattinata, secondo la stampa finanziaria locale, i rendimenti dei titoli di Stato biennali di Lisbona stavano al 12,7%, quelli a 5 anni al 16,5. Come a dire che il rischio portoghese è percepito più nel medio periodo che nel lungo, un aspetto particolarmente preoccupante. L’austerity imposta al Paese, nel frattempo, sta producendo i suoi inevitabili effetti collaterali. Quest’anno, segnalano le ultime stime della Commissione Ue, l’economia portoghese si contrarrà del 3,3%, il secondo peggior risultato del Continente dopo quello della Grecia (-4,4%).
“I rendimenti dei titoli portoghesi sono saliti a livelli prossimi a quelli toccati da quelli greci pochi mesi fa” ha scritto oggi Bini Smaghi. A questo punto, il rischio diventa quello di comportarsi esattamente come in passato, ovvero “osservare l’esplosione dei credit default swaps sui titoli sovrani (i derivati che assicurano in caso di bancarotta) fino a quando diventa evidente che il Paese non può più finanziarsi da solo sui mercati, negare pubblicamente l’opzione della ristrutturazione ma iniziare a valutare in segreto il possibile coinvolgimento del settore privato (…) e infine offrire un nuovo pacchetto di salvataggio chiedendo agli altri Paesi di approvarlo, cosa che questi ultimi potrebbero anche accettare ma solo in cambio di un’effettiva ristrutturazione del debito”. Insomma, il rischio è quello di ripetere l’esperienza greca a meno che – ed è questa l’alternativa credibile – non si decida di implementare una diversa strategia realizzando un firewall anti contagio sbloccando da subito nuovi aiuti per Lisbona.
Per Bini Smaghi, il piano passa inevitabilmente dall’ampliamento delle risorse dei fondi salva Stati (Efsf e Esm) e da un nuovo coinvolgimento del Fondo monetario internazionale (che implica maggiori risorse dagli Stati Uniti e dai Paesi emergenti). Insomma, si tratta di pagare subito per evitare di doverlo fare dopo sostenendo costi maggiori. In attesa di una risposta dall’Europa è già arrivata nel frattempo la replica dell’Irlanda. Il Paese “ha raggiunto finora tutti gli obiettivi stabiliti” e si avvia a “tornare sui mercati entro il 2013” ha fatto sapere oggi un portavoce del ministero delle finanze di Dublino.