L’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione sta per essere approvato in Senato. È la seconda lettura, l’ultima per l’approvazione definitiva.
Il testo è passato con soli 3 voti contrari nella seconda deliberazione alla Camera. Se anche in Senato si determinasse analoga votazione, non ci sarebbe possibilità di svolgere il referendum confermativo previsto dall’articolo 138 della Costituzione.
Ci sono due questioni da affrontare: una di merito e una di metodo.
Il merito. Ci sono varie teorie economiche sulla gestione dei bilanci pubblici, quale scegliere lo decide la politica. Con la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio la politica non potrà più scegliere: Keynes sarà anticostituzionale. Il grande economista affermava che proprio nei periodi di crisi il pubblico deve sostenere la domanda per far ripartire l’economia e che l’equilibrio tra entrate e uscite deve essere perseguito nei periodi di crescita economica. Il rigore economico, infatti, in una situazione di crisi produce recessione e peggiora i conti pubblici. Esattamente per questo motivo cinque premi Nobel dell’economia hanno scritto un appello a Obama contro l’ipotesi di inserire il pareggio di bilancio nella costituzione americana.
Il dogma del pareggio di bilancio è una teoria di destra. Impedisce di perseguire la piena occupazione, impone la privatizzazione dei servizi pubblici e delle imprese statali per fare cassa e favorisce lo smantellamento dello stato sociale. La Costituzione italiana della Repubblica fondata sul lavoro, diventa, con il pareggio di bilancio, la Costituzione della Repubblica fondata sul liberismo, cioè quella teoria fallita che ci ha portato alla peggiore crisi economica dal 1929.
La modifica costituzionale prevede, inoltre, che debbano essere in pareggio anche tutti i bilanci delle pubbliche amministrazioni, dei comuni, delle province e delle regioni. Il che significa una drastica riduzione dei poteri e dell’autonomia di regioni e enti locali. C’è di più. In questi anni gli enti locali e le regioni hanno subito pesantissimi tagli dei trasferimenti statali. Questa riforma li costringerà ad avere ancora meno risorse, aprendo la strada allo smantellamento della spesa sociale e alla privatizzazione dei servizi pubblici.
Una modifica della Costituzione di tal enorme portata sta passando senza un dibattito pubblico vero, senza che i cittadini ne sappiano nulla. E ciò pone una questione anche di metodo. È ovvio che la Costituzione attribuisce al Parlamento il potere di modificare la Carta e, solo in seconda battuta, assegna al popolo sovrano la facoltà di confermare o meno modifiche costituzionali che siano state approvate senza il quorum dei due terzi. Decidere di stravolgere la sostanza stessa della nostra Costituzione nel giro di pochissimi mesi (a dimostrazione che, se si vuole, le riforme in Italia è possibile farle senza tanti problemi) e senza un barlume di discussione pubblica, è però una scelta politica gravissima.
È fondamentale fare pressione in questi giorni per chiedere alle forze democratiche che siedono in Senato di non votare il provvedimento, anche se lo condividono, al fine di consentire al popolo italiano di esprimersi democraticamente in un referendum popolare. Chiediamo che Pd e Italia dei Valori facciano una scelta di partecipazione democratica decidendo al Senato di astenersi sull’introduzione del pareggio in bilancio nella Costituzione. Idv alla Camera ci ha risposto di no argomentando nel merito il sostegno alla modifica. Noi gli poniamo, invece, una questione di metodo: è politicamente opportuno dare la parola al popolo, o no?
Se Pd e Idv al Senato si astenessero, il provvedimento passerebbe comunque, ma senza il quorum dei due terzi che impedisce di svolgere il referendum confermativo e così potremmo andare a votare, almeno sulla Costituzione…