Oggi, 15 marzo, si tiene a Firenze un convegno nazionale sulla “Geotermia del XXI secolo”. Spesso trascurata tra le fonti rinnovabili, quasi fosse confinata solo nei territori toscani di storica tradizione, la fonte termica proveniente dal sottosuolo rivela straordinarie opportunità di integrazione alle altre fonti naturali. E si qualifica per rendimenti e costi sempre più interessanti. Si tratta, nel caso fiorentino, di un appuntamento di svolta e di non ritorno verso una geotermia a media e alta entalpia finalmente rispettosa dell’ambiente.
Sono passati più di cento anni da quando un illustre toscano, il conte Ginori Conti scoprì il modo di far accendere cinque lampadine con il vapore geotermico di Larderello. Da quella intuizione partì la riconversione dell’industria del borace verso l’uso integrale del vapore e la produzione di energia elettrica dalla geotermia. L’Italia ha inventato la produzione geo-termoelettrica ma non ha poi saputo rinnovarsi a causa di una gestione monopolistica di questa risorsa.
L’Enel, nonostante gli enormi guadagni (oggi quantificati in una cifra non inferiore al mezzo miliardo di euro l’anno), ha ridotto l’occupazione, ha spostato la sede a Roma e quindi ha spostato anche il gettito fiscale. E peggio, ha smesso di investire in innovazione tecnologica determinando una più che sacrosanta resistenza delle popolazioni allo sviluppo della geotermia accusata di inquinare e di depauperare le falde idriche. Mentre nel mondo la geotermia ha raggiunto e superato quota 10.000 MW con un incremento del 35% rispetto al 2005, la produzione sulle storiche aree geotermiche toscane e quindi italiane è rimasta sostanzialmente stabile.
Il governo nazionale ha sì prodotto una buona legge di liberalizzazione della geotermia a media entalpia per fare energia elettrica a impatto zero e per mettere limiti al controllo dei territori in concessione di ricerca a un unico soggetto. Peccato che abbia anche deciso – con un decreto “ad ente” – di prorogare senza gara in automatico fino al 2024 tutte le concessioni Enel. Fortunatamente è anche ripartita l’innovazione made in Italy, con Torboden. Ancora, con il riaffacciarsi sulla scena geotermica di Ansaldo, si producono sistemi geotermici a ciclo interamente chiuso che reiniettano senza dispersione nell’ambiente tanto i fluidi che gli incondensabili, sia per ridurne l’impatto che per garantirsi un tempo maggiore di durata dei pozzi geotermici. Sparirebbero così i funghi geotermici che assomigliano troppo alle centrali nucleari e che producono alle aree geotermiche toscane un grave danno turistico.
La rete di imprese che sono presenti all’appuntamento promosso da GIGA (Associazione nata per favorire la riconversione geotermica) indica con chiarezza che se Enel si sottraesse a questa svolta ci sarebbero molti competitor con know how e risorse disponibili ad assumersi questo compito. Da ultimo mi piace rilevare l’attenzione esplicita al coinvolgimento delle popolazioni. A un’assemblea per la presentazione di una VIA per l’ottenimento di permessi di ricerca nel comune di Seggiano, gli amministratori dell’impresa costruttrice hanno accettato la proposta degli abitanti di essere affiancati da un gruppo di controllo proposto dai cittadini. E, come se non bastasse, di aprire l’azionariato alla partecipazione delle aziende e dei residenti nei comuni interessati dalle concessioni. Una prospettiva stimolante per la geotermia, che diventa così esperimento di coinvolgimento sociale come bene comune o comunque come impresa condivisa e partecipata.