L’appello arriva poche ore dopo la votazione in consiglio regionale delle risoluzioni in materia d’amianto. Lo storico istituto Ramazzini di Bentivoglio in provincia di Bologna, sta ricevendo sempre meno finanziamenti da parte della Regione Emilia Romagna, fin quasi la totale cancellazione.

Uno dei tesori italiani che più ci invidiano all’estero, impegnato assiduamente per la ricerca in merito alle malattie mortali prodotte dall’amianto nell’uomo, sta lentamente perdendo fondi pubblici per continuare la sua missione medico-sanitaria. Sono 25 anni che la cooperativa sociale onlus Ramazzini, fondata da Cesare Maltoni e con 22mila soci all’attivo continua a lavorare soprattutto attorno a patologie come asbestosi e mesotelioma. Sempre il Ramazzini e il professor Maltoni in prima persona furono tra i primi, fin dagli anni settanta, a puntare il dito sui danni provocati dalle particelle d’amianto provenienti dagli stabilimenti Eternit di mezza Italia e non solo.

“Ma purtroppo i finanziamenti all’Istituto sono crollati, mettendo in pericolo un’attività importantissima”, spiega il consigliere M5S Giovanni Favia, “sino al 2007, infatti, la Regione Emilia-Romagna, attraverso il sistema sanitario nazionale e gli Ospedali di Bologna, aveva contribuito alla istituzione e al finanziamento del Centro di Ricerca di Bentivoglio (fino al 1997), in seguito il supporto delle attività è avvenuto attraverso ARPA-ER ed è continuato fino al 2006, con contributi che hanno superato i 7 milioni di euro”.

“Poi praticamente più nulla. Dall’oggi al domani i ricercatori sono stati abbandonati. Gli studi degli Istituti, sempre più interessanti – ma anche scomodi – forse hanno infastidito qualcuno”, puntualizza il grillino, “Famoso quello sulla nocività dell’aspartame, il dolcificante ‘light’ che invade tanti prodotti sul mercato, che proprio del 2007 ne denunciava una possibile cancerogenità”.

Successivamente la mancanza di contributi regionali ha portato il Centro di Ricerca bolognese ad una riduzione dell’organico che è passato da più di 50 unità nel 2000 a circa 15 unità nel 2012: “Secondo noi la Regione dovrebbe sforzarsi di invertire questa tendenza e individuare tutti i settori di intervento dell’Istituto di proprio interesse diretto o delle proprie Agenzie e delle strutture sanitarie regionali in cui risulti utile avviare rapporti collaborazione, studio e ricerca. Inoltre dovrebbe supportare le attività dell’Istituto di rilievo internazionale, in particolare quelle suscettibili di ricadute, anche, sul territorio. Questi e altri esempi di ricerca di successo”, conclude Favia, “vanno sostenuti al massimo per garantire un miglior futuro alla nostra comunità: non possiamo permetterci di perdere simili esempi di ricerca indipendente e svincolata dai poteri delle grandi compagnie farmaceutiche, alimentari o petrolifere”.

d.t.

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