La vicinanza dell’acqua si sente. È quella del mare di Marsiglia, che lambisce le banchine del porto. L’odore di salsedine arriva fino al Dock des Suds, dove per quattro giorni si incontrano donne e uomini provenienti da tutti gli angoli del pianeta per discutere del futuro dell’acqua, minacciata dalle grandi privatizzazioni globali. Colori, musiche, idee, esperienze si mescolano e si riflettono in una città simbolo della fusione di culture e popoli diversi. L’acqua è una fonte di vita e non di profitto. È questo il principio che vogliono difendere i partecipanti del Forum Alternativo Mondiale dell’Acqua (Fame) che si svolge in questi giorni nella città francese. Cittadini, organizzazioni non governative, attivisti, sindacalisti e associazioni che cercano soluzioni al deterioramento degli ecosistemi idrici e alla limitazione dell’accesso all’acqua e che rifiutano la logica di mercato che favorisce il settore privato.
Un modello riproposto invece dai rappresentanti dei governi e delle grandi società private internazionali, riuniti a pochi chilometri di distanza nel World Water Forum, al Palazzo dei Congressi e delle Istituzioni, nel centro di Marsiglia. Qui i grandi del mondo prendono decisioni riguardo l’oro blu, una risorsa sempre più preziosa e quindi sempre più nelle mire dei soggetti che detengono l’oligopolio economico. Secondo i dati dell’Unesco, 884 milioni di persone, vale a dire il 13 per cento della popolazione mondiale, non hanno accesso a una fonte di acqua potabile, mentre sono 2,6 miliardi, il 39 per cento del totale, a non avere accesso a servizi igienici adeguati. Dimezzare il numero delle persone che non dispongono di acqua potabile è uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, adottati dall’Onu nel 2000, che deve essere raggiunto entro il 2015. L’acqua infatti è usata solo marginalmente (il 10 per cento) per l’alimentazione diretta delle popolazioni, mentre è in gran parte sfruttata a fini agricoli (70 per cento) e industriali (20 per cento).
“I grandi riuniti al forum ufficiale utilizzano la stessa retorica e gli slogan presi dai movimenti internazionali dell’acqua, rubano i valori e i principi che sono da sempre quelli della società civile, ma non potranno mai parlare di beni comuni”, denuncia Paolo Carsetti, del Comitato italiano per l’Acqua. “Il fatto che il meeting ufficiale sia stato disertato mentre in quello alternativo si contano più di 3.000 persone è già un ottimo risultato”. Le organizzazioni della società civile sostengono l’illegittimità del forum governativo, portatore dei valori neoliberisti delle grandi imprese che controllano le fonti di acqua per attività estrattive, per lo sfruttamento minerario o degli idrocarburi, per l’agroindustria, per l’industria turistica, per i grandi progetti idroelettrici. Credono sia fondamentale invece riappropriarsi del ruolo sociale e ambientale della gestione dell’acqua, proprio a partire dalla risoluzione Onu di luglio 2010 che l’ha riconosciuta come diritto umano e che ancora attende di essere realizzata nei fatti.
Negli oltre cinquanta atelier organizzati si mischiano le voci delle comunità rurali del Sud America, dove la terra è divorata dalle grandi multinazionali, delle donne africane che ogni giorno percorrono chilometri a piedi per andare a prendere l’acqua dai pozzi, dei movimenti locali delle città europee che difendono la gestione pubblica della risorsa. L’impressione è di assistere a grande mobilitazione, variegata e plurale, in nome di un obiettivo comune. “Le lotte sociali che si stanno espandendo in Argentina, Colombia e in tutta l’America Latina hanno a che vedere con il diritto alla vita e con l’appartenenza al territorio”, spiega Oscar Olivera, uno dei leader della battaglia per l’acqua di Cochabamba del 2000 in Bolivia, quando i movimenti sociali costrinsero l’allora governo autoritario di Hugo Banzer a bloccare la vendita dell’acqua alla multinazionale Bechtel. “La voracità del capitale internazionale utilizza il suo potere con forme molto sottili che non passano più per i governi, ma per gli interessi delle multinazionali. Questo dimostrano anche le crisi che si stanno vivendo in Italia, Spagna, Grecia e nei paesi arabi”.
A Marsiglia, dunque, si confrontano due modelli di sviluppo e due idee di futuro. E la città – emblema della privatizzazione delle risorse idriche legata ai nomi francesi di Veolia e Suez – può trovare un suo riscatto nel movimento alternativo. Dal Fame usciranno nuove linee di azione, le ramificazioni di una rete territoriale determinata a fare sentire il proprio peso politico. Una carovana dell’acqua che dal porto di Marsiglia porterà una eco di solidarietà in tutto il mondo.
di Francesca Gnetti