Odi et amo, diceva Catullo 60 anni (circa) prima di Cristo. E aggiungeva: “Forse mi chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato”. Questo poeta mi è venuto in mente leggendo “L’opinione” di Massimo Cacciari su L’Espresso dell’8 marzo, “Perché a mia suocera piace Monti”. Naturalmente io non odio Cacciari e nemmeno lo amo, nel senso inteso da Catullo. Solo che condivido e insieme non condivido il suo pensiero; e so perché questo mi accade, sicché non sono tormentato. Dice dunque Cacciari che “un’autentica, forte partecipazione politica, è sinonimo di conflitto”.
E che proprio questo manca oggi in Italia poiché “la concorrenza tra le leadership politiche” che sostengono il governo Monti consiste solo più in “chi possa più efficacemente garantire il superamento del conflitto, e cioè la liquidazione delle ragioni stesse della partecipazione”. Ha assolutamente ragione: nessuno dei partiti usciti di scena quattro mesi fa propone credibilmente ideologie e strategie peculiari. La loro attività si riassume (e si riduce) nel creare le condizioni ottimali per l’azione di governo, quale che essa sia. Ma, dice ancora Cacciari, “quando partecipazione era, invece, conflitto, tutte le parti concepivano, nei fatti, la democrazia come una via, un metodo per conseguire obiettivi-valori”; e auspica che si possa “risalire la china, giungere a concepire democrazia come partecipazione e conflitto, spazio dove strategie e culture politiche sanno confrontarsi, e non mera procedura di scambi e compromessi”. Contrappone, con intelligente sintesi, la “democrazia procedurale” alla democrazia sostanziale. E anche qui non si può fare a meno di dargli ragione. Anche Cincinnato era sostenuto dal Senato (che lo aveva nominato) e dal popolo romano (che aveva una paura fottuta degli Equi e dei Sabini).
Ma il rispetto della procedura istituzionale non faceva venir meno la destituzione sostanziale del Senato. Allora perché lo “odio”? Perché, semplicemente, quello che lui auspica in Italia non si può fare. Perché i partiti sono “nei fatti” inquinati da un malaffare dilagante; e ciò da oltre 50 anni. E perché la cultura etica e sociale italiana è analoga a quella dei mercanti veneziani che commerciavano con gli Ottomani fino al giorno prima della battaglia di Lepanto. Sicché parlare di “democrazia come partecipazione e conflitto” ai delinquenti che infestano i partiti e alla gente che svillaneggia i funzionari dell’Agenzia delle Entrate che fanno il loro lavoro a Cortina somiglia tanto al vaneggiare di Mercuzio sulla regina Mab che “va cavalcando, la notte, pei cervelli degli amanti, e allora questi sognano d’amore; o sulle labbra delle dame, e queste sognano d’esser baciate” (Romeo e Giulietta); e non a caso Romeo gli dice “basta, basta Mercuzio, tu parli di niente”.
Ma soprattutto lo “odio” perché la sua opinione seducente contribuisce a far dimenticare agli italiani che il paese era (è) sull’orlo della bancarotta; che eravamo (siamo) in grave difficoltà nel pagare stipendi e pensioni; che l’assistenza sanitaria non aveva (ha) più risorse; che la stagnazione stava (sta) diventando recessione; che insomma la “crisi” ci stava (sta) ammazzando come persone e come paese. Lo “odio” perché non dice che, quando non ci sono soldi, una “democrazia procedurale” che mette il paese in grado di guadagnarli è 100, 1000 volte meglio di una democrazia partecipata che ti fa morire di stenti.