In attesa delle decisioni dell'Onu, il regime gioca d'anticipo e si dichiara pronto a cooperare, ma per combattere il “terrorismo” che, secondo Damasco, sono le proteste contro Assad
In attesa della relazione di Kofi Annan, inviato speciale dell’Onu per il Consiglio di sicurezza, è stato il suo portavoce ad anticiparne alcuni elementi salienti. Tra questi, la proposta di mandare a Damasco, all’inizio della settimana prossima, una missione “tecnica” per discutere con il regime siriano la possibilità di inviare osservatori internazionali. Ahmed Fawzi, portavoce di Annan, ha parlato con i cronisti nella sede Onu di Ginevra, da dove, Annan si è collegato in teleconferenza con il Consiglio di sicurezza. “Più il vostro messaggio sarà forte e di unità – ha detto l’ex segretario generale dell’Onu – più grandi sono le chance di assistere in Siria ad un cambiamento della dinamica del conflitto”. L’appello dunque, è per “superare la situazione di stallo e raggiungere una posizione univoca”, che aiuterebbe la sua missione.
Il regime siriano stavolta ha giocato d’anticipo e ha fatto recapitare una lettera ufficiale al Segretario generale dell’Onu nella quale si dichiara pronto a cooperare con la comunità internazionale, ma per “combattere il terrorismo”. “Il governo siriano è determinato a proteggere i propri cittadini disarmando i terroristi – si legge nella lettera, diffusa dall’agenzia di stampa ufficiale Sana – E continua a cercare una soluzione pacifica alla crisi cooperando con l’inviato speciale Kofi Annan“. La lettera chiede anche “a tutti i paesi e a tutte le organizzazioni che combattono il terrorismo di fare pressione su tutte le ben note parti per fermare il terrorismo e lo spargimento di sangue in Siria”. Il “terrorismo” per il governo di Damasco sono le proteste anti-regime che vanno avanti da un anno e la cui repressione è costata la vita ad almeno ottomila persone.
Il tentativo di mediazione che Annan sta cercando di costruire parte comunque in salita, sia perché i combattimenti continuano, sia perché Damasco continua a godere del sostegno della Russia. Il viceministro degli esteri di Mosca Mikhail Bogdanov ha criticato i governi che hanno definito “illegittimo” il regime di Assad: “Questa posizione è controproducente perché da’ all’opposizione la sensazione che non ci sia alcun motivo per dialogare con il governo”, ha detto Bogdanov in una conferenza stampa a Mosca. Secondo il Cremlino, qualsiasi trattativa tra regime e opposizioni “deve avvenire senza precondizioni e senza che ci sia un esito predeterminato”. Come a dire, che la fine del regime di Assad non deve essere l’obiettivo finale. Più esplicito il ministro degli esteri Serghei Lavrov che ha detto che Mosca sta facendo pressione sulla Siria affinché accetti la mediazione di Annan, e che un eventuale fallimento è colpa dell’Occidente e di “altri paesi della regione” che non “fanno la loro parte” per quanto riguarda l’opposizione.
Uno dei paesi della regione a cui Lavrov ha fatto riferimento è la Turchia, che venerdì ha ufficialmente invitato i propri cittadini a lasciare la Siria, “perché la situazione pone dei seri rischi per la loro sicurezza”, si legge in una nota del primo ministro Recep Tayyip Erdogan. Erdogan ha anche aggiunto che, dopo il rientro di tutti i cittadini turchi, Ankara potrebbe interrompere le relazioni diplomatiche con Damasco. Alcuni servizi consolari saranno interrotti già dalla fine della prossima settimana. Inoltre, il governo turco sta studiano la possibilità di creare una “zona cuscinetto” a ridosso del confine tra i due paesi, dove accogliere i profughi che, nelle stime della Mezza luna turca, potrebbero arrivare a mezzo milione, in caso di ulteriori tensioni interne. L’atteggiamento turco è anche dovuto al fatto che due giornalisti turchi, Hamit Coskun e Adem Ozkose, sono stati arrestati dall’intelligence siriana alcuni giorni fa nella zona di Idlib, e secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa turca Anadolu sono nelle mani delle autorità di Damasco. Uno dei due, il cameraman Coskun, sarebbe stato ferito e forse torturato.
Giovedì e venerdì ci sono stati combattimenti nei sobborghi di Damasco, con l’esercito impegnato a dare la caccia a combattenti del Free Syria Army che sono riusciti a prendere posizione alla periferia della Capitale. Quattordici morti ci sono stati a Raqqa, nel nord della Siria, secondo i locali Comitati di coordinamento. Raqqa finora era stata toccata solo marginalmente dalle proteste, ma oggi centinaia di persone hanno manifestato contro il regime alla fine della preghiera musulmana del venerdì. Le forze di sicurezza hanno sparato sulla folla.
E nel primo venerdì dopo l’anniversario dell’inizio delle proteste anti-regime, alcuni settori dell’opposizione siriana sono tornate a chiedere un intervento militare internazionale per fermare il massacro. La richiesta è arrivata da Qamshli, principale centro della zona dov’è concentrata la minoranza kurda nel nord est della Siria. Lì centinaia di persone hanno manifestato per chiedere armi per combattere contro le truppe governative. Il ministro degli esteri francese Alain Juppe ha però di nuovo escluso l’opzione militare, anche se ammette che “abbiamo sottovalutato la ferocia di Assad”.
di Joseph Zarlingo