La Commissione europea chiede chiarimenti ai cinque big della telefonia europea sul procedimento di definizione degli standard dei futuri servizi via smart phone. Il sospetto è che ci possa essere stato un accordo, in gergo “cartello”, non tanto sui prezzi quanto sulla definizione degli stessi standard tecnici degli smart phone, il vero futuro della telefonia mondiale. Nessuna procedura d’infrazione né apertura d’inchiesta ufficiale, precisano i servizi delle Commissione, ma visti i nomi dei cinque destinatari delle altrettante lettere, la notizia non poteva passare inosservata. Si tratta di Telecom Italia, France Telecom, Deutsche Telekom, Telefonica e Vodafone, il cosiddetto gruppo “E5”.
L’antitrust europeo vuole vederci più chiaro sugli incontri tra i vertici dei cinque colossi della telefonia iniziati già nel 2010 e nei quali si è parlato dei processi di creazione degli standard sui servizi futuri di pagamento e pubblicità via smart phone. Un possibile accordo sottobanco costituirebbe un danno enorme per l’intera concorrenza in questo mercato, che verrebbe di fatto spartito tra i cinque colossi. In questo modo le società minori verrebbero spazzate via. Ma l’Ue preferisce andarci cauta. “La Commissione Ue non ha ancora aperto nessuna procedura formale, abbiamo solo richiesto informazioni per verificare i fatti”, ha spiegato Marisa Gonzales Iglesias, press officer del Commissario Ue alla Concorrenza lo spagnolo Joaquín Almunia.
Si perché in Europa la “concorrenza” è una cosa seria. Nelle “linee guida sulla cooperazione orizzontale” della Commissione Ue, che aiutano le imprese a stabilire se i loro accordi di cooperazione sono compatibili con le regole della concorrenza, Bruxelles ricorda che “lo scambio di informazioni cosiddette “sensibili” può facilitare il coordinamento del comportamento concorrenziale delle imprese determinando effetti restrittivi sulla concorrenza”. Inoltre, le stesse linee guida sanciscono che il principio della “trasparenza” deve applicarsi a tutte le collaborazioni tra società e in particolare “trasparente e aperto” deve essere il processo di realizzazione degli standard. Insomma, niente giochi sotto i tavoli ma massima trasparenza nell’interesse del mercato e del consumatore finale.
Lo sa bene il Premier italiano Mario Monti, che nel 2004 proprio da Commissario Ue alla Concorrenza inflisse una multa epoca alla Microsoft di 497 milioni di euro per abuso di posizione dominante. Tra le accuse che vennero rivolte alla multinazionale di Bill Gates figurava quella di distribuire insieme al sistema operativo il programma “Windows Media Player” a scapito degli altri produttori di programmi simili, che rimanevano così nell’ombra. Inoltre alla società fu anche chiesto di fornire più informazioni sui propri software di sistema per permettere agli altri produttori di realizzare programmi compatibili con quelli di Microsoft, senza rimanere tagliati fuori dal mercato. In quell’occasione Monti difese la pesantezza della pena sostenendo che era importante delimitare i confini del monopolio in Europa e dare più respiro al concetto di concorrenza.
Ma non è finita qua. Sempre nel 2004, e sempre l’allora Commissario Monti, si trovò a mediare con Alitalia e Air France per evitare che le due compagnie aeree si spartissero tutti gli slot principali tra i due Paesi. In quell’occasione le due compagnie dovettero rinunciare a ben 42 coppie di slot per non minare la concorrenza, rotte del tipo Parigi-Milano, Parigi-Roma, Parigi-Venezia e Parigi-Firenze. Per restare nel campo delle telecomunicazioni, e nel particolare di Telecom Italia, la società italiana ha sfiorato una procedura d’infrazione nel 2000, quando la Commissione europea la obbligò a rinunciare ad aumentare i suoi canoni di abbonamento di una percentuale pari all’inflazione (+ 6%) al fine di avvicinarli ai costi della rete d’accesso. Scopo di Bruxelles era ancora una volta evitare che si creassero situazioni negative per la concorrenza, nelle quali l’operatore ex-monopolista avrebbe fatturato ai suoi concorrenti l’accesso a linee disaggregate a tariffe ben più elevate di quelle praticate alla clientela al dettaglio, disincentivando in tal modo i propri abbonati dal rivolgersi ad operatori alternativi.
Ma concorrenza sleale e cartelli non conoscono confini. Uno degli ultimi interventi dell’Ue riguarda una multa di ben 8,9 milioni di euro a “Chiquita” e “Pacific Fruit” per un cartello sui prezzi delle banane vendute nell’Europa meridionale dal luglio 2004 all’aprile 2005. Nel periodo interessato le due imprese fissavano i prezzi di vendita settimanali e si scambiavano informazioni sui prezzi relativamente ai rispettivi marchi. In questo modo arrecavano un pregiudizio diretto ai consumatori dei paesi interessati. “Le imprese devono rendersi conto che la Commissione applica molto seriamente la normativa anticartello”, aveva dichiarato il Commissario Ue Almunia. “Nel caso dei cartelli di fissazione dei prezzi, esistono solo due modi per evitare un’ammenda: evitare di entrare a far parte di un cartello o, se già se ne fa parte, ravvedersi al più presto e informare la Commissione della sua esistenza”. Insomma, Telecom e le altre quattro big della telefonia sono avvisate.