Ifriom, Gabin, Vladimir. Erano davanti a Fincantieri a Sestri nei giorni dello sciopero. Aggrappati ai cancelli, a scambiarsi informazioni in mille lingue. Eppure nessuno di loro è dipendente del colosso pubblico della cantieristica. “Sono quelli degli appalti esterni”, così vengono chiamati dai colleghi di Fincantieri. Gli ultimi degli ultimi, l’anello finale della catena. Basta chiedere loro di mostrarti la busta paga: le voci previste dalla legge sembrano esserci, il reddito è di 1.300 euro, come per tanti colleghi “regolari” italiani. Ma si chiama “paga globale” e comprende tutto: tredicesima, indennità, tfr. Lo stipendio vero è poco più della metà. Ma c’è dell’altro: “Le trasferte sono a spese nostre, le ferie non sono pagate”, giura Abdul, tunisino. Aggiunge: “Se ci ammaliamo perdiamo il lavoro”. E niente maternità: Romina voleva fare un figlio, ha rinunciato. Chissà, forse dopo un passaggio in ospedale, quando glielo chiedi abbassa lo sguardo.
Accade a Sestri Ponente, come a Porto Marghera e in altri stabilimenti del gruppo. Vengono in mente gli appelli di Giorgio Napolitano al rispetto delle leggi in materia di lavoro. Chissà se il presidente immagina che cose di questo genere sono quasi la norma nella cantieristica. Privata, ma anche pubblica. A Genova, davanti all’ufficio di Bruno Manganaro (Fiom-Cgil), ogni mattina si presentano decine di lavoratori che prestano la loro opera a Fincantieri. Sono “quelli degli appalti esterni”. Gente che arriva da cinquanta paesi, perché i cantieri sono una Babele, dove si parlano mille lingue e non esiste razzismo (alla mensa esistono cibi diversi a seconda della confessione religiosa). Ma tra questi super-precari non è raro trovare italiani.
Ormai è la regola: nei periodi di boom i dipendenti di Sestri erano un migliaio, quelli degli appalti esterni 2.000. Racconta Manganaro: “Dagli anni Ottanta Fincantieri, ma non è la sola, ha deciso di esternalizzare. Il motivo dichiarato era la concorrenza asiatica”. Oggi fino all’80 per cento di una nave viene appaltato a grandi imprese che a loro volta subappaltano. E qui i controlli si perdono: “Alla fine gli operai vengono assunti da società che spuntano come funghi, spesso vengono dal sud. O magari dalla Romania”. Certo, ci sono anche società serie. Per altre, però, il discorso è diverso: “Assumono, ma verso la fine del contratto spariscono. Recuperare i soldi da una ditta romena è dura” racconta Manganaro. Davanti a lui una fila di lavoratori rimasti senza stipendio.
Ma non sono solo i soldi, anche se ci muoviamo sull’orlo della miseria: “Con gli appalti gli incidenti sul lavoro si sono moltiplicati”, assicura Sandro Bianchi che per la Fiom si è occupato di Fincantieri per anni. Dalle denunce di Luca Trevisan e Giorgio Molin della Fiom di Venezia che si occupa di Porto Marghera è partita un’inchiesta della Procura. Si parla di operai esterni che lavorano 250 ore al mese, cioè otto ore al giorno, sabati e domeniche comprese. Vuol dire fatica immane, ma anche rischiare la pelle: “Quando sei su una nave maneggi pesi di tonnellate, usi macchinari che se ti scappano di mano ti ammazzano” racconta Gabin. Aggiunge: “I nostri colleghi ‘regolari’, giustamente, pretendono che siano rispettate le norme di sicurezza. Ma noi non possiamo fare storie. Rischiamo il licenziamento e poi c’è di mezzo il permesso di soggiorno”. Allora si va avanti, si entra nei cunicoli tra le due carene dove devi fare saldature al buio, quasi senza aria. Un errore e soffochi.
Finiti i turni si torna a casa, se si può chiamare così: appartamenti dove vivono anche in venti. Magari procurati dalle stesse ditte che fanno la cresta anche sull’affitto. “Possibile che Fincantieri non sappia nulla?” si chiedono i sindacalisti Fiom. Bianchi racconta: “Abbiamo siglato accordi con la società. Noi accettavamo gli appalti esterni purché ci fosse un tetto quantitativo e qualitativo. Ma poi non è andata così. Gli appalti non fanno risparmiare soldi, perché una manodopera non qualificata abbassa la qualità e può produrre danni. Invece si appalta tutto, anche la progettazione, disperdendo il know how”.
Fincantieri non ci sta: “In tutto il mondo la cantieristica si basa sull’esternalizzazione. Solo il 20-30 per cento del lavoro è compiuto dal cantiere. Ma non è il far west: facciamo controlli sulle condizioni di lavoro, sul pagamento di stipendi e contributi. Ce la mettiamo tutta, anche se c’è sempre chi non rispetta la legge”. Intanto “quelli degli appalti esterni” aspettano davanti ai cancelli di Fincantieri oppure a quelli delle Riparazioni Navali del porto. Ma sono già pronti a emigrare in Germania. Anche all’estero hanno bisogno di lavoratori che non fanno problemi. E poi Ifriom, Gabin, Vladimir non hanno molto da perdere: niente casa, niente famiglia. Niente.