Spioni in nome e per conto della ‘ndrangheta lombarda. Personaggi con buone entrature tra le forze dell’ordine capaci di spifferare notizie interessanti ai boss. Magari su indagini in corso. Un esempio? L’inchiesta Infinito che il 13 luglio 2010 alza il velo sulla presenza delle cosche calabresi in terra padana: 160 arresti e una mappatura inquietante di interessi, affari e contatti con la politica. Un mese e mezzo prima degli arresti, però, la notizia già gira tra gli affiliati. E’ una soffiata precisissima. Dice che a metà luglio ci sarà il blitz.

A oltre due anni da quella storica operazione, il particolare è stato raccontato ieri nell’aula bunker di San Vittore. Le parole sono quelle di Antonino Belnome, ex padrino della Brianza, oggi collaboratore di giustizia che in oltre sedici ore di interrogatorio (spalmate su due giornate), ridisegna assetti, precisa particolari e, come in questo caso, svela notizie inedite.

Come da prassi, magistrati, avvocati e imputati vengono convocati per le nove e mezza. Qualche rallentamento sposta il fischio d’inizio di un’ora. L’udienza scivola tranquilla fino al pomeriggio. Qui Belnome, incalzato dal sostituto procuratore Alessandra Dolci, elenca gli affiliati alla locale di Giussano, di cui lui per quasi dieci anni è stato padre e padrino. Il pentito fa nomi e cognomi. Di chi è già in carcere e di quelli (tantissimi) che sono rimasti fuori e proseguono a “comandare gli affari”. Fa di più: aiuta il magistrato a strappare dal cono d’ombra l’omicidio di Francesco Calabretta, 42 anni, ucciso a Cornaredo tre giorni prima che scattasse l’operazione Infinito. Per quel delitto è stato condannato Pasquale Fraietta, calabrese legato alla criminalità organizzata. Sì perché Fraietta è uomo di Belnome. “Lui – dice il pentito – è nato all’ombra di Cosimo Gallace (potente boss delle cosche di Guardavalle, ndr)”. Fraietta è un “vecchio affiliato” con “la dote di Vangelo” una delle più alte negli assetti criminali della ‘ndrangheta. E quello di Calabretta “fu un omicidio di droga”. Belnome, però, si ferma qua. Solo conferma che da tempo “Fraietta aveva problemi di abuso e questo non piaceva all’organizzazione, ho anche tentato di parlargli ma lui si fece negare”.

Da qui l’interrogatorio vira sugli incontri di Belnome. Chi e perché? Tra questi quello con Pio Candeloro “capo società del locale di Desio comandato da Peppe Moscato”. I due si vedono spesso e quasi sempre “per chiarire affari”. Tra questi del denaro che un tale D.G. deve restituire a Candeloro. Il mafioso di Desio fa pressione, ma visto che D.G. è amico di vecchia data di Belnome, interviene l’ex padrino. E’ in questo momento che la notizia sugli spioni delle cosche rimbalza tra le mure del bunker di San Vittore. L’amico dell’ex padrino, infatti, è un tipo singolare: “Un cervellone” espertissimo di “microspie”. Che fa? “Lavora con il padre, fanno import export”. Altro non si sa se non che “sono una famiglia benestante”. Il punto però è un altro: “D.G. – svela Belnome – aveva agganci nella Guardia di Finanza”. Rapporti ereditati. “Già all’epoca li aveva suo padre”. Questa la prassi: il tale spifferava e in cambio otteneva qualche favore. Notizie? Tutte. “Se c’era un’operazione a Seregno poteva intercedere per chiudere un occhio”. Una volta “aiutò Gianluca Stagno e questo gli promise di trovargli un’auto d’epoca”. Quindi la conferma che del blitz Infinito la ‘ndrangheta sapeva già tutto almeno un mese prima: “Mi disse che a metà luglio 2010 ci sarebbero stati gli arresti”. Quindi un particolare. “L’operazione doveva essere prima, ma fu rinviata”.

Il tema, come si può ben capire, è gustoso. In quel momento l’orologio del bunker segna un quarto alle cinque del pomeriggio. Il collegamento con Belnome inizia a fare i capricci. La voce va via. Il giudice prende la palla al balzo: sospende e rinvia alla prossima puntata che, visto l’argomento, si annuncia interessante. E non solo per le rivelazioni sugli spioni della ‘ndrangheta, ma anche perché, in un passaggio dell’interrogatorio, inconsapevolmente, Antonino Belnome sembra smontare la principale tesi dell’accusa: l’esistenza della Lombardia come unico mandamento di ‘ndrangheta.

Un assunto, quello della procura, che prevede non la presenza mafiosa in un determinato comune, ma il controllo a livello regionale, complessivo e organizzato attraverso incontri trasversali con i vari capi locali. Eppure sull’incontro principe, il summit di Paderno Dugnano del 31 ottobre 2009 al circolo Falcone Borsellino, Belnome è categorico: “Nemmeno sapevo fosse stato fissato e nemmeno mi interessava”. In quella serata molti capi locali si riuniscono per nominare il nuovo referente. Elezioni resasi necessarie dopo l’omicidio di Carmelo Novella. “Anche l’avessimo saputo – dice Belnome – non saremmo andati perché erano tutti legati a Novella”. Va, infatti, ricordato che il pentito è uno degli esecutori materiali della morte del boss. Di più: Belnome è legato a doppio filo a Vincenzo Gallace, il capo indiscusso dei clan di Guardavalle che volle la morte di Nuzzo Novella. Ecco il motivo dell’assenza del locale di Giussano e Seregno al vertice di Paderno.

A quel tavolo un ruolo di rilievo, secondo l’accusa, spetta a Pino Neri, ritenuto il capo del locale di Pavia. “Ma io – dice Belnome – Pino Neri non l’ho mai conosciuto personalmente”. Insomma, la ‘ndrangheta in Lombardia esiste e comanda, ma, stando alla versione di Belnome, probabilmente ha assetti e dinamiche differenti: forse più complesse di un semplice risiko territoriale.

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