Le Banche centrali si sono impadronite delle chiavi dei grandi paesi e ormai dominano un mondo politico che appare sempre più incapace di trovare risposte adeguate alla gravità della crisi. L’area dell’euro ne è l’esempio più chiaro. Se qualcuno si chiedeva come mai Mario Draghi aspirasse a una posizione così difficile come quella di presidente della Bce, ha trovato una risposta: nessuno ha tanto potere in Europa e tutti, a cominciare dalla Germania, gli devono molto.
Le quattro grandi banche centrali (la Federal Re-serve americana, la Bank of England, la Bank of Japan e la Bce) hanno inondato il mondo di liquidità. Il bilancio delle prime due (dunque la moneta che hanno stampato) è oggi più che triplo rispetto al momento in cui la crisi è cominciata (l’incremento è del 237 % per la Fed e del 264 per la Boe). Quello della Bce è molto minore (170 circa ora, comprendendo l’ultima operazione da 500 miliardi a febbraio); ma se si misura l’incremento rispetto al Pil dei vari Paesi, le distanze si avvicinano. Il bilancio delle principali banche centrali ha raggiunto dimensioni comprese fra il 20 e il 30 per cento del Pil, contro il 5-10 di prima della crisi. Se si considera che questo misura la dimensione del sostegno all’economia, ma anche del sussidio alle banche (il miliardo di euro a tre anni al tasso dell’ 1 per cento concesso dalla Bce negli ultimi mesi è solo l’ultima manifestazione) si capisce quanto siano mutati i rapporti di forza all’interno del mondo finanziario.
Le banche che sono accorse con il cappello in mano, non mancheranno di manifestare la loro riconoscenza nei confronti di un’istituzione che avevano accusato di essere meno severa della Bundesbank. Non c’è niente come un miliardo di euro per ammorbidire le critiche. Ci sono altri aspetti da considerare. Primo. Come ovvia conseguenza del credito che viene loro generosamente concesso, le banche perdono parte della loro autonomia, se non altro perché una quota crescente delle loro attività è dato in garanzia: si arriva al 33 per cento delle banche greche al 15 di quelle italiane e tedesche, passando per il 20 per cento della Spagna. E il fatto che queste garanzie siano sempre più concentrate nelle mani della Bce, aumenta ovviamente la loro dipendenza da Francoforte. Secondo. È possibile che la Bce non si fermi al trilione di euro già generosamente erogato. Circolano già autorevoli stime secondo cui si potrebbe andare anche più in là senza generare tensioni inflazionistiche (quindi nel rispetto del mandato che il Trattato europeo assegna alla Bce). Se si utilizzasse il mitico signoraggio (la tassa occulta che incassa chi stampa moneta) si potrebbero aggiungere almeno altri 2 trilioni di euro. Terzo. La Bce (meglio: il sistema europeo di Banche centrali) è di fatto divenuta lo strumento di finanziamento dei deficit con l’estero dei Paesi periferici. L’area dell’euro è infatti sostanzialmente in equilibrio nei confronti del resto del mondo in termini di esportazione e importazione di merci e servizi, ma è sempre più divisa fra paesi in deficit (Spagna, Italia, Portogallo e Grecia) e Paesi in surplus (la Germania).
Fino a due anni fa, il deficit dei primi era finanziato dalla seconda, cioè i tedeschi compravano i titoli pubblici e privati degli altri Paesi. Da quando l’Europa è nell’occhio del ciclone questo non accade più e dunque si è aperto l’inquietante interrogativo: chi finanzierà questo deficit? Se non si riuscisse a trovare una soluzione, i Paesi importatori netti sarebbero costretti a ridurre la loro domanda interna ancora più drasticamente di quanto già stiano facendo. E chi ha risolto il problema? Ma la Bce, si capisce. Il sistema dei pagamenti di Eurolandia è infatti costruito in modo da consentire alle banche dei Paesi in deficit di indebitarsi nei confronti di quelle dei paesi in surplus.
Nella scorsa estate, questa forma di finanziamento che non figura nei bilanci delle banche centrali aveva raggiunto i 400 miliardi di euro. E così le assurde polemiche sulle formiche tedesche costrette (ma da chi?) a finanziare le cavallette greche, si sono per incanto placate. Quarto. Con la ristrutturazione dei titoli greci posseduti da privati faticosamente raggiunta la scorsa settimana, oggi le istituzioni ufficiali, come il Fondo monetario, il fondo europeo e la Bce, detengono la stragrande maggioranza del debito pubblico greco. Ulteriori forme di ristrutturazione (sempre più inevitabili) saranno gestite direttamente e più facilmente a Washington, Bruxelles e Francoforte. In tutto questo la Bce dimostra di svolgere un ruolo di supplenza rispetto ad una politica troppo debole per prendere decisioni adeguate a una crisi sempre più grave e che rischia di avvitare il mondo intero in una tremenda spirale depressiva.
Negli Stati Uniti, il premio Nobel Joseph Stiglitz denuncia che con una distribuzione del reddito così squilibrata come quella attuale, ci vorranno almeno 13 anni per tornare al pieno impiego: figurarsi in Europa dove la ripresa è ancora più stentata. Ma nell’agenda politica questi temi non entrano, se non sotto forma di mere dichiarazioni di principio: basta guardare alle campagne presidenziali di Stati Uniti e Francia, per capire che tutti si muovono allineati e coperti dietro una strategia basata solo sull’arma monetaria e che ha come unico corollario certo il salvataggio delle banche. Il resto è solo speranza. E i banchieri centrali sono i veri signori della crisi.
Il Fatto Quotidiano, 17 Marzo 2012