Lido dopo lido, bagno dopo bagno, la fotografia di Rimini è sempre la stessa. Campi da bocce, pedane, chioschi, vasche idromassaggio, e parcheggi. Una lunga serie di strutture, dai parchi giochi ai gazebo, che risparmia pochi metri di sabbia. E su cui oggi si sta consumando un duro braccio di ferro tra l’amministrazione e i bagnini. Sì, perché la gran parte di queste attrezzature è stata messa in piedi negli anni scorsi senza le autorizzazioni ambientali. E ora il Comune ha intenzione di correre ai ripari, predisponendo una sorta di “sanatoria”, che potrebbe costare anche molto caro ai gestori degli stabilimenti balneari.
Per capire la questione, bisogna fare riferimento al Codice dei beni culturali e del paesaggio, del 2004. Il testo prevede che ogni intervento realizzato nella fascia protetta di arenile debba essere autorizzato. Senza nulla osta si rischia fino a 2 anni di arresto e dai 15mila ai 30mila euro di ammenda. Peccato che a Rimini, tra chi ha costruito prima dell’entrata in vigore della legge (rispettando quindi le norme dell’epoca), e chi invece ha preferito correre il rischio, modificando qua e là senza autorizzazione paesaggistica, sono pochi gli operatori che possono dormire sonni tranquilli. Questo anche grazie alla politica che ha chiuso un occhio. Lo strumento che oggi il comune di Rimini vorrebbe usare per far pagare gli abusi è infatti un regolamento di cui si parla da circa 3 anni.
“La politica è in ritardo? Dovreste chiederlo a chi c’era prima di me” si difende l’assessore al Demanio marittimo Roberto Biagini, colui che sta portando avanti la battaglia per arrivare ad approvare il provvedimento entro maggio. “Il comune di Rimini – spiega Biagini – invece che fare delle perizie per ogni singolo caso, ha deciso di predisporre un regolamento che definisca la casistica generale. È la legge che ci obbliga”. In altre parole, il testo in discussione stabilisce l’entità della multa da pagare per ogni abuso, dai campi da basket, alle palme, alle passerelle di troppo.
Il problema è nato alcuni giorni fa quando, facendo due conti, sono uscite le prime stime, che parlavano di un minimo di 40 mila euro per stabilimento, con punte di oltre 100 mila euro. Cifre che hanno scatenato la rivolta tra i bagnini, poco propensi a sborsare quei soldi per mettere in regola i propri stabilimenti. Ma non solo. Perché la sanatoria in discussione ha allungato le distanze anche tra la giunta e la maggioranza in consiglio. “Se non si abbassano le tariffe non la votiamo” è stato, in poche parole, il messaggio mandato all’assessore sia dai partiti all’opposizione sia dal Pd. “Dobbiamo dare la possibilità a chi ha costruito un pezzo della nostra città di poter continuare a lavorare – ha detto pochi giorni fa il capogruppo dei democratici Marco Agosta durante una tesissima seduta della commissione – Non possiamo permetterci di correre il rischio di eliminare i servizi dalle nostre spiagge”.
Ora, dopo una settimana di discussioni, l’amministrazione è intenzionata a risolvere il grattacapo al più presto, così da ottenere l’approvazione del consiglio comunale prima che inizi la stagione estiva. E un punto d’incontro sembra sia già stato trovato. Una soluzione per ridurre le sanzioni, ad esempio, potrebbe essere la rimozione di parte delle attrezzatura non in regola, in particolare le pedane (a eccezione di quelle storiche che attraversano la spiaggia). Almeno per i mesi estivi, in attesa dell’autorizzazione paesaggistica. “Mi pare che ci siano le premesse per riaprire il dialogo” ha ammesso Romeo Nardi, del Consorzio dei bagnini Marina riminese. Smontando alcuni infrastrutture gli operatori non solo pagherebbero meno, ma eviterebbero di andare incontro a un periodo di controlli, sequestri, denunce e multe. Un sacrificio decisamente ridimensionato rispetto alle previsioni iniziali e al quale per ora, ha fatto capire la giunta, non ci sarebbero alternative.