I fatti: un chierichetto mannaro di nome Francesco Borgonovo, che scrive su Libero, attacca pesantemente Carlo Freccero per aver trasmesso su RAI4 un programma spagnolo sulla sessualità giovanile, titolando “Porno Rai”; a Freccero girano i corbezzoli e per telefono ne dice quattro (o magari di più) al ragazzotto; costui registra di nascosto la telefonata, tra l’altro tirando per le lunghe la conversazione al fine strumentale di far sbracare il più possibile l’interlocutore già su di giri, e poi la spiattella pubblicamente. In sostanza: una franca e privata espressione di pensiero, seppure sovreccitata, rivolta al diretto interessato (quella di Freccero); a fronte dell’evidente scorrettezza sotto forma di imboscata (quella di Borgonovo).
Una vera porcheria; la strumentalizzazione, mica il lessico: del resto, al tempo del “vaffa”, niente di particolare; pura cronaca quotidiana nella prevalenza ormai acquisita a livello di costume dello sboccato (che ci piaccia o no, ormai non fa più scandalo). Soprattutto ricordando l’insegnamento cardinalizio – già agli atti per le bestemmie di Berlusconi – che “bisogna sempre tenere conto del contesto”. E il contesto è quello di un offeso che risponde per le rime; magari tenendo pure conto del suo temperamento da bellicoso e fumantino camallo savonese, che sfrigola sotto la patina del raffinato mass-mediologo.
Ma subito scendono in campo le vestali farisaiche del bon ton, turbate dal brutale linguaggio rivierasco. Si badi bene: gente adusa in privato a intercalari che – come minimo – scandalizzerebbero qualsivoglia camallo, savonese o meno.
D’altro canto, per siffatti personaggi – cresciuti giornalisticamente dalle parti di Arcore – nessun pudore potrebbe mai tenere a freno la goduria di creare un caso e farci sopra un bel po’ di caciara.
Che si trattasse di un colloquio privato, in cui – come detto – è costume abbastanza corrente adottare un fraseggio non proprio da educande, sembra privo di interesse per i berluscones dell’informazione. Nonostante la miriade di intercettazioni che ci hanno ampiamente erudito sul lessico dei loro datori di lavoro.
La palma per il massimo della sfacciataggine spetta ovviamente al Walter Lippman del Salento, il noto telefonista insinuante Nicola Porro (chiedere al riguardo informazioni a Emma Marcegaglia) nel programma In Onda de La7; che con aria compunta la prende alla lontana, stigmatizzando l’arroganza delle élite di cui Freccero sarebbe membro onorario. Il solito populismo dei demagoghi con la faccia di bronzo sui presunti salotti “bene”, lontani dalla gente “vera” (che probabilmente – secondo tali azzimati carrieristi da sushi bar – si riunirebbe solo nei cessi). Ossia, la consunta retorica con cui hanno campato a lungo – televisivamente parlando – già le Santanché e gli Scilipoti.
Ecco quale sarebbe il vero scandalo: siamo in presenza di un “radical chic”. E poco importa che tale definizione denigratoria risalga al lontanissimo 1970, quando il giornalista biancovestito Tom Wolf la indirizzò contro Leonard Bernstein: i Porro si compiacciono di non studiare; neppure la propria presunta materia, il giornalismo.
Che cosa c’entri il radicalismo chic nello sfogo frecceresco lo sa solo il Premio Pulitzer del Salento. Ma nessuno glielo fa notare. Neppure il pur presente in trasmissione Andrea Scanzi. Forse in difficoltà sul tema, in quanto reduce da un attacco molto pop (forse troppo pop, per uno che veleggia verso la quarantina) contro Michele Serra, presunto reo anch’esso di snobismo elitistico (radical chic?) per aver criticato le sciatterie linguistiche su twitter.
In conclusione: se il Porrismo dilaga, viva Carlo Freccero; che almeno ha il coraggio di mandare a quel paese il chierichetto mannaro. Un esempio da imitare.