È il giorno del dolore e della commozione per Rimini, che oggi ha salutato per l’ultima volta William Arlotti e sua figlia Dayana, di 5 anni, scomparsi la notte del 13 gennaio nel naufragio della Costa Concordia. Una piccola bara bianca, di fianco quella più grande del padre, accanto due cuscini di rose bianche a forma di cuore. Sul pieghevole un ricordo con l’immagine dei due sorridenti e abbracciati. “È stata una catastrofe devastante che si doveva e si poteva evitare – ha detto il vescovo della città monsignor Francesco Lambiasi durante l’omelia – e di cui altri hanno il dovere, davanti al tribunale divino e alla giustizia umana, di assumersi la gravissima responsabilità. Non è stato Dio a distrarsi quella sera, né a rendersi latitante al largo dell’isola del Giglio”.
Parole durissime, riferite chiaramente al comportamento del capitano della nave Francesco Schettino, ora indagato dalla procura di Grossetto. “No, non possiamo mettere in conto a Dio il tragico disastro che è costata la vita a Dayana, a suo papà e ad altre tante vittime – ha proseguito il vescovo – Alla domanda dove è allora Dio, quando avvengono queste tragedie la risposta è una sola: Dio è sempre là dove c’è un suo figlio che soffre e muore”.
Di fronte a tragedie come quelle della Costa “non siamo soli. Questa è la verità: appesi alla croce della violenza e della debolezza; crocifissi con i chiodi della malattia, del fallimento, dell’errore e dell’inganno; nell’agonia della speranza e nel tradimento dell’amore, nella paura di dover imboccare il tunnel buio della morte, non siamo soli. Gesù non ha ceduto al ricatto dei suoi crocifissori, ha rinunciato a salvare se stesso, non è sceso dalla croce”.
Nella sua omelia il vescovo di Rimini ha poi sottolineato come, in questo momento, “è l’ora del buio, è l’ora del pianto, è l’ora del grido”. Rivolgendosi alla madre della piccola Dayana, visibilmente straziata dal dolore, e ai familiari del papà Williams e ai tanti riminesi accorsi in Duomo per il funerale, monsignor Lambiasi, non ha nascosto le difficoltà di questo momento. In particolare, il vescovo ha ricordato che “mentre accarezziamo con gli occhi del cuore le bare di Dayana e del suo babbo, proviamo brividi di tenerezza nei confronti dei loro cari. Eppure le possibili parole di umano conforto, risultando a noi stessi puramente palliative, si spengono in gola e le labbra ci rimangono sigillate in un silenzio sgomento e impotente. Così – ha proseguito – ci ritroviamo smarriti e confusi, come dei mendicanti che si scoprono senza neanche un minimo spicciolo di forza per riprendere il cammino. Come dei nomadi rimasti intrappolati nei labirinti dei perché più tragici e sempre troppo grandi per noi umani”.
Il vescovo di Rimini ha chiuso la sua omelia con una invocazione a Maria, chiedendole di darsi “da fare”: “Custodisci il tenero germoglio della piccola Dayana e faccelo ritrovare sbocciato come un candido fiore nell’eterna primavera – ha concluso – quando Dio tergerà ogni lacrima dai nostri occhi e non vi sarà più la morte, né lutto né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate. Ecco, ne sono nate di nuove!”.