In Italia tira brutta aria. A dirlo è il report Air pollution by ozone across Europe dell’European Environment Agency che ha misurato i livelli di ozono nell’estate scorsa (aprile-settembre) pubblicato ieri. Impietoso il confronto con gli altri Paesi dell’Ue, specie del Nord Europa. A far compagnia all’Italia solo Grecia e Spagna, ma il Nord Italia si conferma la zona con gli indici più alti.

La presenza elevata di ozono a livello-terra è rischioso per la salute, danneggia l’agricoltura e rappresenta una seria minaccia per l’ambiente. Gli esperti dell’agenzia spiegano anche come possa essere causa di molte patologie respiratorie e altre malattie mortali. Questo perché l’ozono, trascinato al suolo dalle alte temperature o dall’intensità dei raggi solari (quindi uno degli effetti del riscaldamento climatico) possa interagire pericolosamente con altri inquinanti presenti nell’aria fino a creare delle miscele mortali. Queste sostanza sono prodotte prevalentemente dall’industria, dai trasporti ed altre attività di combustione. Parliamo ad esempio di ossidi di azoto, monossido di carbonio, metano e altre sostanze volatili.

Ecco che, secondo l’agenzia europea, le soglie di rischio sono state superate in 16 Paesi membri e 4 non Ue. Ma in Italia, dati alla mano, la situazione è davvero critica. Su 343 stazioni istallate nel nostro Paese ben 149 (il 43 per cento) hanno registrato un numero superiore alla soglia di sforamenti di ozono. Il che vuol dire ben 81 giorni (in 6 mesi) di valori massimi. A preoccupare è soprattutto il Nord Italia, la Pianura padana. Qui, insieme ad altri punti isolati d’Europa (il report prende in considerazione anche Paesi non Ue come Svizzera e Turchia) il limite di 240 μg/m³ viene spesso largamente superato. Tre stazioni, in tutta Europa, hanno raggiunto il pericoloso record di 300 μg/m³: AMS Rakovsky-Dimitrovgrad in Bulgaria (512 μg/m³ il 9 giugno), Campo de Fútbol, Puertollano in Spagna (301 μg/m³ il 2 luglio) e via Battisti in Lombardia (300 μg/m³ il 28 giugno).

Eppure migliorare la situazione è possibile. Lo dimostrano Paesi come Irlanda, Regno Unito e altri paesi baltici, dove i giorni di sforamento sono stati davvero pochi. E non è solo una questione di latitudine. Se guardiamo le statistiche italiane degli anni passati, l’estate 2011 è stato un periodo davvero nero. Quest’anno ben l’85,6 per cento del territorio nazionale ha superato i 25 giorni di sforamenti, mentre nel 2010 era solo il 47,8 per cento e nel 2009 il 49 per cento.

La bella notizia è che quest’anno la percentuale di ozono è stata inferiore alla media. Ma c’è poco da stare allegri. “Si tratta ancora di uno dei più pericolosi inquinanti dell’aria che minaccia concretamente la qualità della vita delle persone”, avvisa Jacqueline McGlade, direttrice esecutiva EEA. “Un dato che misurato anche solo dal mero punto di vista economico, costa alla sanità europea miliardi di euro ogni anno”.

Ma di fronte al concreto rischio per la salute umana, il fattore economico impallidisce. Secondo un recentissimo studio dell’Ocse di previsione per il 2050 sulle conseguenze dell’inquinamento su cambiamento climatico, biodiversità e qualità di aria e acque, “le emissioni inquinanti urbane sono destinate a diventare la causa ambientale numero uno di mortalità nel mondo entro il 2050”.

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