Diritti

Unioni (in)civili

Sarà la politica a risolvere finalmente la questione delle unioni civili fra persone dello stesso sesso, oppure la magistratura? Basta mettere in fila un po’ di fatti recenti che hanno riportato agli onori della cronaca la questione, in un paese in tutt’altre faccende affaccendato, per dare una risposta molto semplice. Non aspettiamoci nulla dalla politica, né da quella di oggi né da quella di domani: un futuro Parlamento e un futuro governo interveranno in materia solo se costretti dall’Europa, o messi all’angolo dai giudici.

Il 4 marzo, a San Petronio, a Bologna, i funerali di Lucio Dalla; Lucia Annunziata commenta che sono stati «uno degli esempi più forti di quello che significa essere gay in Italia: vai in Chiesa, ti concedono i funerali e ti seppelliscono con rito cattolico, basta che non dici di essere gay». Polemiche, intervento dal cardinale Bagnasco, dissolvenza, e, apparentemente, morta lì.

A risollevare la questione, dieci gioni dopo, è Angelino Alfano a Orvieto, che evocando lo spettro di un governo di sinistra afferma: «Farebbero come otto anni di zapaterismo in Spagna, che non sapendo come affrontare la crisi economica ha cominciato a fare i matrimoni tra gli uomini e le coppie di fatto buttando fumo negli occhi della società». Ma è solo la ripresa di un pezzo forte del repertorio del suo Capo: tutte le volte che rischia di saldarsi un’unione di fatto – è il caso di dire – fra PD e UDC, si butta sul tavolo la morale cattolica, che divide non solo loro, ma le stesse componenti del primo.

Il 15 marzo interviene la Cassazione con la sentenza 4184. Da un lato, la Corte respinge la richiesta di trascrizione del matrimonio da parte di una coppia gay legalmente coniugata in Olanda; dall’altro, afferma che la coppia medesima ha diritto, in «specifiche situazioni», a un «trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata» e a una «vita familiare»: auspicando, sulla base della Costituzione e della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, un intervento del Parlamento, eventualmente pungolato dalla Corte costituzionale.

Ieri, 19 marzo, un sondaggio leggibile sul sito www.sondaggipoliticoelettorali.it finisce di spiegarci perché un intervento del Parlamento – di questo, ma anche di quello che andremo a eleggere nel 2013 – sia altamente improbabile. Vero, la sensibilità degli italiani alle esigenze delle «unioni di fatto» cresce ogni giorno che passa: ma appena queste esigenze si colorano di rispetto per i diritti degli omosessuali, la maggioranza socialcattolica torna ancora a spaccarsi.

Qualcuno dirà: è la democrazia, bellezza. No ragazzi, questa non è la democrazia, semmai sono i limiti della democrazia: c’è ormai una montagna di letteratura, soprattutto in inglese, che spiega perchè le questioni eticamente sensibili e/o riguardanti minoranze sono risolte prima dai giudici che dai politici. L’unica differenza fra noi e gli altri è che da noi siamo ancora alla fase dell’intervento dei giudici; altrove, la questione delle unioni civili è già stata democraticamente risolta nell’unico modo in cui dovrebbe risolversi: riconoscendo i diritti delle persone.