Ai vertici del San Raffaele era nota la “gestione dissipatoria” di don Luigi Verzé e del suo braccio destro Mario Cal. Ma in alcuni casi, le spese folli che hanno portato al crac erano mirate a “fare favori a qualcuno”. Lo spiega ai pm milanesi Mario Valsecchi, ex direttore amministrativo dell’ente ospedaliero milanese, ora agli arresti domiciliari, in un interrogatorio del 16 febbraio scorso davanti ai pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, titolari dell’inchiesta con il collega Luigi Orsi. Il contenuto dei verbali, depositati in seguito alla chiusura delle indagini per bancarotta e associazione per delinquere e costellati di “omissis”, è stato diffuso dall’agenzia Ansa.
I “sigilli”, ossia la cerchia ristretta dei collaboratori di don Verzè, “erano perfettamente informati, in quanto nei consigli d’amministrazione si presentavano tutte le situazioni contabili”, spiega Valsecchi. “Ho avuto occasione di parlare con Voltolini (Raffaella Voltolini, dirigente di punta del gruppo, ndr) della situazione dell’ospedale e ne ho raccolto gli sfoghi in merito alla gestione dissipatoria voluta da Cal e dal presidente”.
Una “gestione dissipatoria” che in qualche caso, però, sembrava rispondere a una logica precisa. Mario Cal, il vicepresidente morto suicida nel luglio scorso all’esplosione dello scandalo, “mi disse chiaramente che doveva acquistare l’aereo per fare un favore a qualcuno”, ricorda ancora Valsecchi. “Lo disse sicuramente anche a don Verzè”, anche lui deceduto. Tutte le volte che si discuteva “la follia di questo acquisto, lui si difendeva dicendo che doveva fare un favore a qualcuno e quindi come se fosse una cosa necessaria”. Cal non rivelò chi fosse il destinatario del favore. “Non me lo disse – precisa Valsecchi agli inquirenti – ma lo posso dedurre dal fatto che la società che ci ha venduto l’aereo era di Daccò”.
Pierangelo Daccò, arrestato nell’ambito dell’inchiesta sul San Raffaele, è un imprenditore attivo nel settore sanitario ed è ritenuto un uomo di contatto tra l’ente ospedaliero e la politica lombarda. L’inchiesta sul crac ha svelato un sistema di sovrafatturazioni delle forniture, con contestuale creazione di fondi neri che “tornavano” ai vertici della Fondazione, ma dei quali non è ancora chiara l’eventuale successiva destinazione.