Questa volta non ho votato la fiducia al governo Monti.
Non l’ho votata perché non si può accettare che, per la dodicesima volta, il governo ricorra al voto di fiducia, per di più disponendo della più ampia ed inedita maggioranza mai conosciuta nella storia della Repubblica.

Per di più una fiducia messa, senza neppure tentare di rispondere alcunché alle argomentate critiche del capogruppo dell’Idv Massimo Donadi, che aveva chiesto conto della mancata copertura di bilancio.

Alle sue argomentate ragioni si è risposto con il silenzio, semplicemente perché aveva ragione.
Al di là del merito, il decreto sulle liberalizzazioni, si pone una questione di metodo.

Può il voto di fiducia diventare una procedura ordinaria?
Perché ritenere normale ora quello che abbiamo considerato grave ed irresponsabile durante il governo Berlusconi?

Nel passato ci è capitato, insieme ad altri, di essere etichettati come “antiberlusconiani di professione“, per aver continuato a contrastare i conflitti di interesse, le leggi bavaglio, il commissariamento del Parlamento.

Chi oggi tace di fronte ad un metodo sbagliato dimostra, lui sì, di essere un “antiberlusconiano professionale”, perché evidentemente non contrastava un metodo sbagliato, ma solo e soltanto la persona che ne faceva uso.
A noi, invece, questo metodo non piaceva allora e non piace adesso, a prescindere dal nome e dal cognome del presidente del consiglio.

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