Nessuna marcia indietro: la proposta di modifica dell’articolo 18 resta così com’è. Non è servito (e era già chiaro) il no della Cgil. Non è servita la presa di posizione di Pierluigi Bersani. Non sono serviti i dubbi della Uil e l’arretramento dell’Ugl. Non sono serviti, infine, i tentativi di Raffaele Bonanni di cambiare la norma, sui quali il segretario della Cisl ha detto di essersi impegnato fino all’ultimo istante. Alla fine il governo resta dov’era arrivato martedì scorso, il giorno della rottura tra il governo e (quasi) tutte le parti sociali da un parte e la Cgil dall’altra. Domani la riforma del lavoro sarà all’ordine del giorno del consiglio dei ministri. Dopo la riunione di domani il governo renderà pubblico finalmente il testo della sua proposta. Non sarà l’intero articolato, nel senso che non sarà domani che il governo approverà il testo da mandare alle Camere.
Sarà invece il presidente del Consiglio Mario Monti a definire lo strumento legislativo, la modalità, cioè, con la quale presentare la riforma del lavoro al Parlamento. Questione non da poco: un decreto legge aprirebbe un’autostrada (e infatti è molto più che caldeggiata dal Pdl, ma il governo l’ha già escluso), mentre una legge delega (come vuole il Pd) allungherebbe i tempi, oltre che agevolare e la discussione e eventuali emendamenti.
Dopo il vertice, l’ultimo, di oggi a Palazzo Chigi il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha ribadito che l’articolo 18 – sul quale si concentra la gran parte della discussione di questi giorni e che rappresenta la quota più larga del no dei sindacati – è solo una parte della riforma: il testo elaborato dal ministero è “vasto, comprensivo e ambizioso” e parla di “contratti, ammortizzatori sociali, flessibilità in uscita, politiche attive e servizi per il lavoro, occupazione delle donne, questioni budget, inserimento dei disabili e degli immigrati”. Il ministro ammette che “avremmo potuto intervenire con l’accetta”, eliminando alcuni tipi di contratto, ma “abbiamo preferito agire in maniera più mirata” sulla flessibilità. “L’obiettivo – ripete per l’ennesima volta negli ultimi due mesi – è di valorizzare la flessibilità buona e contrastare quella cattiva, contrastare la precarietà. Per i giovani noi facciamo una azione abbastanza diffusa con freni, che dalla parte delel imprese sono dei costi, ma dalla parte buona sono dei freni all’uso improprio dei contratti flessibili”.
VIDEO – FORNERO: “NESSUN LICENZIAMENTO FACILE”
video di Manolo Lanaro
La Fornero ha chiarito di nuovo che il governo non abolisce l’articolo 18, ma distingue le fattispecie, confermando l’indennizzo nei casi di licenziamento economico e la scelta al giudice tra reintegro e indennizzo solo per il licenziamento disciplinare. Insomma, quella del governo è una dimostrazione di fiducia nei confronti dei datori di lavoro: “Ci deve essere una chiara, chiarissima presa di responsabilità da parte delle imprese: non stiamo dando loro la licenza di licenziare. Verrebbero meno al loro ruolo sociale. Lo chiedo loro pubblicamente”. Dall’altra parte la fiducia è anche quella nei magistrati: “Io personalmente ho fiducia nei giudici” sostiene riferendosi al potere del giudice di decidere tra reintegro e indennizzo nei casi di licenziamento disciplinare e quindi di decidere se il reintegro “è cosa buona e giusta”. Il ministro del Lavoro, insomma, è talmente convinto della bontà della proposta che si è perfino “offerta di andare a spiegare alle assemblee sindacali, ma mi hanno detto che è meglio di no”. E lancia un messaggio al Pd: “A Bersani spiegheremo le nostre ragioni”, poi “speriamo nel suo voto”. “Il Pd sarà convinto della bontà di questa proposta – prosegue – Il governo ha una sua posizione al Parlamento spetta poi decidere. Ciascuno avrà le sue responsabilità ed il suo ruolo: questo è parte della democrazia”.
A proposito di democrazia: “I tempi saranno brevi, non brevissimi” in modo che “il Parlamento esamini” il provvedimento “lo emendi, lo approvi oppure ci mandi a casa. Questo fa parte della democrazia”.
Infine si apre un giallo sui dipendenti pubblici che ieri il ministero si era affrettato ad escludere dal target della riforma: “Non era nel mio mandato e potere intervenire sugli statali. Questo non vuol dire che non interverremo. Il governo valuterà cosa deve essere fatto. Se ne occuperà il ministro Patroni Griffi”.
Monti: “Riforma domani in consiglio dei ministri”. Monti ha così mantenuto l’impegno preso martedì, quando aveva detto che la questione sulla riforma dello statuto dei lavoratori era “chiusa”. Il presidente del Consiglio, tuttavia, ha tenuto a chiarire che “sull’articolo 18 abbiamo percepito una diffusa preoccupazione su cui vorrei rassicurare tutti. Che il binario dei licenziamenti economici possa essere abusato con aspetti di discriminazione. Il governo si impegna affinché questo rischio non si verifichi perché è nostro dovere evitare discriminazioni con un minimo di attenzione alla stesura. Su questo mi impegno”. Monti, sia pure immobile sulla sua posizione, ha voluto rassicurare i presenti che la stesura del testo sarà formulata in modo da “evitare abusi” nel licenziamento per ragioni economiche. In questo modo si è voluto dare risposta alle preoccupazioni sollevate in modo particolare dalla Cisl, che su questo punto aveva chiesto rassicurazioni. Ma di certo nessun dietrofront sui licenziamenti per motivi economici. Peraltro una simulazione effettuata dal centro studi della Cgia di Mestre ha spiegato come gli indennizzi (considerevoli) previsti dall’eventuale riforma costituirebbero comunque un deterrente per i licenziamenti.
La Cisl: “Impegno per cambiare la bozza”. “Stiamo cambiando la norma sui licenziamenti economici” aveva detto subito prima del vertice il segretario della Cisl Raffaele Bonanni. “E’ quello su cui ci stiamo impegnando in queste ore” aveva scritto in una nota. “Anche la Cisl vuole cambiare la norma sui licenziamenti economici e fare una riforma del lavoro credibile. E’ quello su cui ci stiamo impegnando in queste ore. Anche noi vogliamo il modello tedesco. Speriamo che con il sostegno del Pd, lo otterremo e chiariremo tutti insieme ai lavoratori la bontà delle soluzioni che abbiamo trovato”. A queste dichiarazioni si è poi aggiunge il dietrofront dell’Ugl: “O si reinserisce il reintegro per i licenziamenti economici o cambiamo posizione”. E l’ha cambiata. Dopo il no della Cgil e i dubbi della Uil, il clima nel mondo sindacale ha dato l’impressione di aver cambiato umore non poco rispetto a martedì.
Centrella (Ugl): “O si cambia sull’art.18 o da noi arriva un no”. Da un “sì sofferto e articolato” a un “no senza una modifica sui licenziamenti economici”. E’ l’Ugl di Giovanni Centrella “per rispetto ai lavoratori” a fare marcia indietro sulla valutazione della riforma del mercato del lavoro. “O si introduce il reintegro anche per i licenziamenti economici o non potremo condividere la riforma”, spiega al termine dell’incontro con il governo a palazzo Chigi. E tra le modifiche richieste anche quella di una conciliazione obbligatoria preventiva al licenziamento. Richieste di modifica però che paiono destinate, almeno al momento, a infrangersi contro il no del premier Mario Monti, ribadito, come riferisce Centrella, anche nel corso del round di oggi. “Monti ha detto che la legge sarà articolata e che vigilerà affinché i licenziamenti economici non nascondano licenziamenti discriminatori o disciplinari ma non ha fatto altre aperture”, riferisce ancora ricordando come il premier sia poi andato via subito dopo. E a questo proposito chiarisce anche lui, dopo il Tweet della Cgil, che la richiesta del leader Cisl, Raffaele Bonanni, di modifca dei licenziamenti economici, nonostante le indiscrezioni di stampa, non siano state fatte al tavolo di confronto. “Ho letto delle richieste di Bonanni ma oggi al tavolo non c’è stata nessuna dichiarazione sull’articolo 18”, sintetizza. “L’avrà fatta a Monti”, aggiunge ironizzando sul probabile incontro con il premier che il leader Cisl avrebbe avuto prima dell’inizio del vertice a Palazzo Chigi.
VIDEO – SULL’ART.18 IL ‘NO’ ANCHE DELL’UGL
video di Manolo Lanaro
Marcegaglia: “Inaccettabili eventuali modifiche”. Sulla discussione del progetto del governo torna il giudizio deciso di Confindustria. E’ la presidente uscente Emma Marcegaglia a parlare: “Qualsiasi ipotesi di indebolimento di questa posizione, su cui il presidente Monti ha preso una posizione molto chiara dicendo che la discussione è chiusa, per noi non sarebbe inaccettabile” taglia corto. Sull’articolo 18 la posizione degli industriali era già diversa da quanto uscito dal tavolo tra governo e parti sociali, precisa, visto che Confindustria aveva chiesto che il reintegro nel posto di lavoro restasse solo per i licenziamenti discriminatori, con un indennizzo per tutti gli altri casi. Ora, ribadisce la leader degli industriali, “se ci dovesse essere una ulteriore ipotesi di indebolimento noi diciamo che allora la riforma è meglio non farla, perchè non sarebbe una vera riforma”. E perche “l’irrigidimento” introdotto su flessibilità in entrata e ammortizzatori sociali va bilanciato sulla flessibilità in uscita. “Dire che con questa norma arriveranno i licenziamenti è una cosa che non ha senso. Non è che un imprenditore si diverte a licenziare, i lavoratori sono la nostra risorsa”.
VIDEO – MARCEGAGLIA: “NO A INDEBOLIMENTO DELLA RIFORMA DELL’ARTICOLO 18”
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video di Manolo Lanaro
La politica: Alfano contro Bersani. Il fronte era già aperto invece tra i due principali partiti della maggioranza, Pd e Pdl. Dopo le parole del segretario dei democratici Pier Luigi Bersani, che ieri aveva criticato le modifiche previste all’articolo 18, è stata la volta del segretario del Pdl Angelino Alfano. La riforma del mercato del lavoro predisposta dal governo – ha detto – “è un compromesso”, che tuttavia tutti i partiti devono accettare. Se qualche partito intende in Parlamento modificarne solo la parte che gli interessa, allora il Pdl non ci sta: “Diciamo no a riforme al ribasso”. Poi la stoccata al segretario del Pd. “Se Bersani – avverte Alfano – vuole la riforma della Camusso e della Fiom deve vincere le elezioni, farla e poi andare in giro per spiegarla. Se la Fiom condiziona la Cgil, la Cgil condiziona il Pd e il Pd condiziona il governo e dunque il Paese. Ma così il Paese rischia di rimanere imprigionato dai veti della Fiom e questo sarebbe inaccettabile”. Una posizione che spiazza anche una parte degli elettori del centrodestra.
L’ex ministro avverte il Pd ma anche il governo: “Se il compromesso resta in piedi, bene. Se invece questo compromesso viene smontato, il Pd non si illuda che possano essere fatte solo le cose che interessano al Pd e che il Pdl non possa rivendicare ulteriormente l’aggiustamento di alcuni limiti sulle pmi e sulla flessibilità. Se ci dovranno essere degli interventi dovranno essere di tutti. Diciamo no – sottolinea Alfano – a riforme al ribasso e se si tocca la riforma si tocca per tutti. Anche sul lato, debole per noi, di un certo pregiudizio negativo su imprenditori”. Nel frattempo continuano a dire no Antonio Di Pietro, Umberto Bossi, Nichi Vendola e tutta la sinistra.
La Cei: “Il lavoratore non è una merce”. Ma non solo la sinistra. Nel dibattito entra di nuovo a gamba tesa la voce della Chiesa. In particolare quella autorevole di monsignor Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso e presidente della commissione per il lavoro e per il sociale della Conferenza episcopale italiana, che già aveva avuto parole critiche nei confronti della bozza di riforma: “Il lavoratore non è una merce – manda a dire attraverso Famiglia Cristiana – Non lo si può trattare come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio. In politica l’aspetto tecnico sta diventando prevalente sull’aspetto etico”. La posizione del presule è chiara: “Bisogna chiedersi, davanti alla questione dei licenziamenti, chiamati elegantemente, con un eufemismo, ‘flessibilità in uscita’, se il lavoratore è persona o merce”. Secondo l’arcivescovo “se con Berlusconi la questione centrale era legata al profitto, oggi c’è l’aspetto tecnico che domina ogni questione politica. Ma alla fine tra profitto e aspetto tecnico si crea una sintonia eccessiva. L’aspetto etico nella politica è necessario. E invece non è più tenuto in considerazione”.
“La modalità con cui è ipotizzato il licenziamento economico potrebbe rivelarsi infausta – sostiene Bregantini – Nemmeno il giudice può intervenire”. Così diventa “facilissimo che si arrivi in tutto il Paese” a “un clima di paura generalizzata”. Il timore è che nelle aziende e nelle famiglie ci sia “un’ondata di terrore” per paura di vedersi licenziati per motivazioni economiche o organizzative. Monsignor Bregantini si lamenta anche del fatto che la Cgil sia rimasta fuori dall’accordo: “Un fatto che viene quasi dato come scontato -quasi che il primo sindacato italiano per numero di iscritti non sia una cosa preziosa per una riforma del lavoro. Dietro questa fetta di sindacato c’è tutto un mondo importante, cruciale, da coinvolgere per camminare verso il futuro. Altrimenti c’è il rischio che questa parte sociale, con i suoi milioni di iscritti, resti disillusa, arrabbiata, ripiegata su atteggiamenti difensivi, su un passato che non c’è più”. In definitiva per l’alto prelato “ci voleva un po’ più di tempo permettere in atto una riforma così importante. Non era necessaria questa fretta così evidente. La questione è chiusa, è stato detto da parte del premier Mario Monti. Si poteva dire: la questione è posta, ora dialoghiamo, nelle fabbriche, negli uffici, in Parlamento, nella società civile, ovunque perchè il lavoro è il tema cruciale del nostro Paese”.
Scioperi spontanei in molte regioni. E mentre la politica discute, il mondo del lavoro ha iniziato a mobilitarsi, con scioperi spontanei e programmazione di nuove agitazioni nei prossimi giorni praticamente in tutta Italia. Proteste, scioperi, manifestazioni e cortei si sono registrate in Piemonte, (a Torino e provincia, ma anche a Cuneo e Alessandria), in Liguria (a Genova e a La Spezia), in Toscana (gli operai della Piaggio di Pontedera hanno bloccato la superstrada Firenze-Livorno e scioperi anche alla Ansaldo Breda di Pistoia), in Lombardia (in particolare negli stabilimenti di Milano e provincia), in Umbria, in Sicilia (a Palermo e Siracusa).
Lavoro & Precari
Lavoro, il governo non torna indietro “L’articolo 18 è solo una parte della riforma”
Anche la Cisl chiede di cambiare la norma, ma Monti si limita a "un impegno contro gli abusi". Il ministro Fornero: "Non diamo nessuna licenza di licenziare agli imprenditori". Anche Alfano e Marcegaglia difendono le proposte del governo. Domani il testo in consiglio dei ministri, ma non sarà votato. Intanto in tutta Italia sono iniziate proteste e scioperi spontanei. E arriva il sostegno della Cei: "Il lavoratore non è una merce"
Sarà invece il presidente del Consiglio Mario Monti a definire lo strumento legislativo, la modalità, cioè, con la quale presentare la riforma del lavoro al Parlamento. Questione non da poco: un decreto legge aprirebbe un’autostrada (e infatti è molto più che caldeggiata dal Pdl, ma il governo l’ha già escluso), mentre una legge delega (come vuole il Pd) allungherebbe i tempi, oltre che agevolare e la discussione e eventuali emendamenti.
Dopo il vertice, l’ultimo, di oggi a Palazzo Chigi il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha ribadito che l’articolo 18 – sul quale si concentra la gran parte della discussione di questi giorni e che rappresenta la quota più larga del no dei sindacati – è solo una parte della riforma: il testo elaborato dal ministero è “vasto, comprensivo e ambizioso” e parla di “contratti, ammortizzatori sociali, flessibilità in uscita, politiche attive e servizi per il lavoro, occupazione delle donne, questioni budget, inserimento dei disabili e degli immigrati”. Il ministro ammette che “avremmo potuto intervenire con l’accetta”, eliminando alcuni tipi di contratto, ma “abbiamo preferito agire in maniera più mirata” sulla flessibilità. “L’obiettivo – ripete per l’ennesima volta negli ultimi due mesi – è di valorizzare la flessibilità buona e contrastare quella cattiva, contrastare la precarietà. Per i giovani noi facciamo una azione abbastanza diffusa con freni, che dalla parte delel imprese sono dei costi, ma dalla parte buona sono dei freni all’uso improprio dei contratti flessibili”.
VIDEO – FORNERO: “NESSUN LICENZIAMENTO FACILE”
video di Manolo Lanaro
La Fornero ha chiarito di nuovo che il governo non abolisce l’articolo 18, ma distingue le fattispecie, confermando l’indennizzo nei casi di licenziamento economico e la scelta al giudice tra reintegro e indennizzo solo per il licenziamento disciplinare. Insomma, quella del governo è una dimostrazione di fiducia nei confronti dei datori di lavoro: “Ci deve essere una chiara, chiarissima presa di responsabilità da parte delle imprese: non stiamo dando loro la licenza di licenziare. Verrebbero meno al loro ruolo sociale. Lo chiedo loro pubblicamente”. Dall’altra parte la fiducia è anche quella nei magistrati: “Io personalmente ho fiducia nei giudici” sostiene riferendosi al potere del giudice di decidere tra reintegro e indennizzo nei casi di licenziamento disciplinare e quindi di decidere se il reintegro “è cosa buona e giusta”. Il ministro del Lavoro, insomma, è talmente convinto della bontà della proposta che si è perfino “offerta di andare a spiegare alle assemblee sindacali, ma mi hanno detto che è meglio di no”. E lancia un messaggio al Pd: “A Bersani spiegheremo le nostre ragioni”, poi “speriamo nel suo voto”. “Il Pd sarà convinto della bontà di questa proposta – prosegue – Il governo ha una sua posizione al Parlamento spetta poi decidere. Ciascuno avrà le sue responsabilità ed il suo ruolo: questo è parte della democrazia”.
A proposito di democrazia: “I tempi saranno brevi, non brevissimi” in modo che “il Parlamento esamini” il provvedimento “lo emendi, lo approvi oppure ci mandi a casa. Questo fa parte della democrazia”.
Infine si apre un giallo sui dipendenti pubblici che ieri il ministero si era affrettato ad escludere dal target della riforma: “Non era nel mio mandato e potere intervenire sugli statali. Questo non vuol dire che non interverremo. Il governo valuterà cosa deve essere fatto. Se ne occuperà il ministro Patroni Griffi”.
Monti: “Riforma domani in consiglio dei ministri”. Monti ha così mantenuto l’impegno preso martedì, quando aveva detto che la questione sulla riforma dello statuto dei lavoratori era “chiusa”. Il presidente del Consiglio, tuttavia, ha tenuto a chiarire che “sull’articolo 18 abbiamo percepito una diffusa preoccupazione su cui vorrei rassicurare tutti. Che il binario dei licenziamenti economici possa essere abusato con aspetti di discriminazione. Il governo si impegna affinché questo rischio non si verifichi perché è nostro dovere evitare discriminazioni con un minimo di attenzione alla stesura. Su questo mi impegno”. Monti, sia pure immobile sulla sua posizione, ha voluto rassicurare i presenti che la stesura del testo sarà formulata in modo da “evitare abusi” nel licenziamento per ragioni economiche. In questo modo si è voluto dare risposta alle preoccupazioni sollevate in modo particolare dalla Cisl, che su questo punto aveva chiesto rassicurazioni. Ma di certo nessun dietrofront sui licenziamenti per motivi economici. Peraltro una simulazione effettuata dal centro studi della Cgia di Mestre ha spiegato come gli indennizzi (considerevoli) previsti dall’eventuale riforma costituirebbero comunque un deterrente per i licenziamenti.
La Cisl: “Impegno per cambiare la bozza”. “Stiamo cambiando la norma sui licenziamenti economici” aveva detto subito prima del vertice il segretario della Cisl Raffaele Bonanni. “E’ quello su cui ci stiamo impegnando in queste ore” aveva scritto in una nota. “Anche la Cisl vuole cambiare la norma sui licenziamenti economici e fare una riforma del lavoro credibile. E’ quello su cui ci stiamo impegnando in queste ore. Anche noi vogliamo il modello tedesco. Speriamo che con il sostegno del Pd, lo otterremo e chiariremo tutti insieme ai lavoratori la bontà delle soluzioni che abbiamo trovato”. A queste dichiarazioni si è poi aggiunge il dietrofront dell’Ugl: “O si reinserisce il reintegro per i licenziamenti economici o cambiamo posizione”. E l’ha cambiata. Dopo il no della Cgil e i dubbi della Uil, il clima nel mondo sindacale ha dato l’impressione di aver cambiato umore non poco rispetto a martedì.
Centrella (Ugl): “O si cambia sull’art.18 o da noi arriva un no”. Da un “sì sofferto e articolato” a un “no senza una modifica sui licenziamenti economici”. E’ l’Ugl di Giovanni Centrella “per rispetto ai lavoratori” a fare marcia indietro sulla valutazione della riforma del mercato del lavoro. “O si introduce il reintegro anche per i licenziamenti economici o non potremo condividere la riforma”, spiega al termine dell’incontro con il governo a palazzo Chigi. E tra le modifiche richieste anche quella di una conciliazione obbligatoria preventiva al licenziamento. Richieste di modifica però che paiono destinate, almeno al momento, a infrangersi contro il no del premier Mario Monti, ribadito, come riferisce Centrella, anche nel corso del round di oggi. “Monti ha detto che la legge sarà articolata e che vigilerà affinché i licenziamenti economici non nascondano licenziamenti discriminatori o disciplinari ma non ha fatto altre aperture”, riferisce ancora ricordando come il premier sia poi andato via subito dopo. E a questo proposito chiarisce anche lui, dopo il Tweet della Cgil, che la richiesta del leader Cisl, Raffaele Bonanni, di modifca dei licenziamenti economici, nonostante le indiscrezioni di stampa, non siano state fatte al tavolo di confronto. “Ho letto delle richieste di Bonanni ma oggi al tavolo non c’è stata nessuna dichiarazione sull’articolo 18”, sintetizza. “L’avrà fatta a Monti”, aggiunge ironizzando sul probabile incontro con il premier che il leader Cisl avrebbe avuto prima dell’inizio del vertice a Palazzo Chigi.
VIDEO – SULL’ART.18 IL ‘NO’ ANCHE DELL’UGL
video di Manolo Lanaro
Marcegaglia: “Inaccettabili eventuali modifiche”. Sulla discussione del progetto del governo torna il giudizio deciso di Confindustria. E’ la presidente uscente Emma Marcegaglia a parlare: “Qualsiasi ipotesi di indebolimento di questa posizione, su cui il presidente Monti ha preso una posizione molto chiara dicendo che la discussione è chiusa, per noi non sarebbe inaccettabile” taglia corto. Sull’articolo 18 la posizione degli industriali era già diversa da quanto uscito dal tavolo tra governo e parti sociali, precisa, visto che Confindustria aveva chiesto che il reintegro nel posto di lavoro restasse solo per i licenziamenti discriminatori, con un indennizzo per tutti gli altri casi. Ora, ribadisce la leader degli industriali, “se ci dovesse essere una ulteriore ipotesi di indebolimento noi diciamo che allora la riforma è meglio non farla, perchè non sarebbe una vera riforma”. E perche “l’irrigidimento” introdotto su flessibilità in entrata e ammortizzatori sociali va bilanciato sulla flessibilità in uscita. “Dire che con questa norma arriveranno i licenziamenti è una cosa che non ha senso. Non è che un imprenditore si diverte a licenziare, i lavoratori sono la nostra risorsa”.
VIDEO – MARCEGAGLIA: “NO A INDEBOLIMENTO DELLA RIFORMA DELL’ARTICOLO 18”
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video di Manolo Lanaro
La politica: Alfano contro Bersani. Il fronte era già aperto invece tra i due principali partiti della maggioranza, Pd e Pdl. Dopo le parole del segretario dei democratici Pier Luigi Bersani, che ieri aveva criticato le modifiche previste all’articolo 18, è stata la volta del segretario del Pdl Angelino Alfano. La riforma del mercato del lavoro predisposta dal governo – ha detto – “è un compromesso”, che tuttavia tutti i partiti devono accettare. Se qualche partito intende in Parlamento modificarne solo la parte che gli interessa, allora il Pdl non ci sta: “Diciamo no a riforme al ribasso”. Poi la stoccata al segretario del Pd. “Se Bersani – avverte Alfano – vuole la riforma della Camusso e della Fiom deve vincere le elezioni, farla e poi andare in giro per spiegarla. Se la Fiom condiziona la Cgil, la Cgil condiziona il Pd e il Pd condiziona il governo e dunque il Paese. Ma così il Paese rischia di rimanere imprigionato dai veti della Fiom e questo sarebbe inaccettabile”. Una posizione che spiazza anche una parte degli elettori del centrodestra.
L’ex ministro avverte il Pd ma anche il governo: “Se il compromesso resta in piedi, bene. Se invece questo compromesso viene smontato, il Pd non si illuda che possano essere fatte solo le cose che interessano al Pd e che il Pdl non possa rivendicare ulteriormente l’aggiustamento di alcuni limiti sulle pmi e sulla flessibilità. Se ci dovranno essere degli interventi dovranno essere di tutti. Diciamo no – sottolinea Alfano – a riforme al ribasso e se si tocca la riforma si tocca per tutti. Anche sul lato, debole per noi, di un certo pregiudizio negativo su imprenditori”. Nel frattempo continuano a dire no Antonio Di Pietro, Umberto Bossi, Nichi Vendola e tutta la sinistra.
La Cei: “Il lavoratore non è una merce”. Ma non solo la sinistra. Nel dibattito entra di nuovo a gamba tesa la voce della Chiesa. In particolare quella autorevole di monsignor Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso e presidente della commissione per il lavoro e per il sociale della Conferenza episcopale italiana, che già aveva avuto parole critiche nei confronti della bozza di riforma: “Il lavoratore non è una merce – manda a dire attraverso Famiglia Cristiana – Non lo si può trattare come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio. In politica l’aspetto tecnico sta diventando prevalente sull’aspetto etico”. La posizione del presule è chiara: “Bisogna chiedersi, davanti alla questione dei licenziamenti, chiamati elegantemente, con un eufemismo, ‘flessibilità in uscita’, se il lavoratore è persona o merce”. Secondo l’arcivescovo “se con Berlusconi la questione centrale era legata al profitto, oggi c’è l’aspetto tecnico che domina ogni questione politica. Ma alla fine tra profitto e aspetto tecnico si crea una sintonia eccessiva. L’aspetto etico nella politica è necessario. E invece non è più tenuto in considerazione”.
“La modalità con cui è ipotizzato il licenziamento economico potrebbe rivelarsi infausta – sostiene Bregantini – Nemmeno il giudice può intervenire”. Così diventa “facilissimo che si arrivi in tutto il Paese” a “un clima di paura generalizzata”. Il timore è che nelle aziende e nelle famiglie ci sia “un’ondata di terrore” per paura di vedersi licenziati per motivazioni economiche o organizzative. Monsignor Bregantini si lamenta anche del fatto che la Cgil sia rimasta fuori dall’accordo: “Un fatto che viene quasi dato come scontato -quasi che il primo sindacato italiano per numero di iscritti non sia una cosa preziosa per una riforma del lavoro. Dietro questa fetta di sindacato c’è tutto un mondo importante, cruciale, da coinvolgere per camminare verso il futuro. Altrimenti c’è il rischio che questa parte sociale, con i suoi milioni di iscritti, resti disillusa, arrabbiata, ripiegata su atteggiamenti difensivi, su un passato che non c’è più”. In definitiva per l’alto prelato “ci voleva un po’ più di tempo permettere in atto una riforma così importante. Non era necessaria questa fretta così evidente. La questione è chiusa, è stato detto da parte del premier Mario Monti. Si poteva dire: la questione è posta, ora dialoghiamo, nelle fabbriche, negli uffici, in Parlamento, nella società civile, ovunque perchè il lavoro è il tema cruciale del nostro Paese”.
Scioperi spontanei in molte regioni. E mentre la politica discute, il mondo del lavoro ha iniziato a mobilitarsi, con scioperi spontanei e programmazione di nuove agitazioni nei prossimi giorni praticamente in tutta Italia. Proteste, scioperi, manifestazioni e cortei si sono registrate in Piemonte, (a Torino e provincia, ma anche a Cuneo e Alessandria), in Liguria (a Genova e a La Spezia), in Toscana (gli operai della Piaggio di Pontedera hanno bloccato la superstrada Firenze-Livorno e scioperi anche alla Ansaldo Breda di Pistoia), in Lombardia (in particolare negli stabilimenti di Milano e provincia), in Umbria, in Sicilia (a Palermo e Siracusa).
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Roma, 12 mar. (Adnkronos) - Aspettare, ponderare. Giorgia Meloni non avrebbe ancora deciso se partecipare o meno alla video-call dei 'volenterosi', convocata per sabato dal Regno Unito. Il primo ministro britannico Keir Starmer ha chiamato di nuovo a raccolta i leader di quei Paesi pronti a fornire il loro supporto per assicurare la pace in Ucraina, dopo un possibile accordo di tregua con la Russia. Ma la partecipazione dell'Italia all'incontro da remoto, si apprende da fonti di governo, non è ancora confermata e la presidente del Consiglio starebbe riflettendo sul da farsi.
Il problema di fondo, viene spiegato, è essenzialmente uno: il governo italiano è fortemente contrario all'invio di truppe al fronte in Ucraina; dunque, se la riunione di Londra rientra nell'ambito di un invio di uomini, "noi non partecipiamo", il refrain che arriva da Palazzo Chigi. Diverso è invece il discorso per quanto riguarda la riunione dei Capi di Stato maggiore europei svoltasi martedì a Parigi con il presidente francese Emmanuel Macron: "In quel caso non eravamo parte del gruppo dei cosiddetti 'volenterosi', siamo andati lì come osservatori". Le diplomazie restano comunque in contatto.
Meloni è al lavoro sul discorso che dovrà pronunciare alle Camere la prossima settimana prima del Consiglio europeo del 20-21 marzo: un passaggio impegnativo, sul quale i partiti della maggioranza sono chiamati a compattarsi dopo aver votato in maniera difforme a Strasburgo. Gli europarlamentari di Fratelli d'Italia hanno dato il loro sì alla risoluzione sul Libro bianco sulla difesa, che sollecita i 27 Paesi dell'Ue ad agire con urgenza per garantire la sicurezza del Continente, accogliendo le conclusioni del Consiglio europeo sul riarmo.
Tuttavia, la delegazione di Fdi si è astenuta sulla risoluzione riguardante l'Ucraina dopo aver richiesto, senza successo, un rinvio del voto. Secondo Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo Ecr, il testo non avrebbe tenuto conto dell'accordo raggiunto a Gedda tra Stati Uniti e Ucraina per un possibile cessate il fuoco, rischiando così di "scatenare l'odio verso Donald Trump e gli Usa, anziché aiutare l'Ucraina".
Il nostro "non è stato un doppio voto", dice all'Adnkronos un membro dell'esecutivo in quota Fratelli d'Italia: "La posizione è chiara: se approvi un testo troppo anti-Usa, come fai poi a farti mediatore con gli Usa?". Sulla stessa risoluzione per l'Ucraina, la Lega ha votato contro mentre Forza Italia si è espressa a favore.
Anche da Palazzo Chigi sottolineano come il testo della risoluzione sull'Ucraina fosse troppo sbilanciato 'contro' gli Stati Uniti: Fratelli d'Italia a Strasburgo - il ragionamento che trapela dai piani alti del governo - ha sempre votato a favore della libertà e della sicurezza dell'Ucraina, ma questa volta il testo della risoluzione "era molto più 'accusatorio' verso l'amministrazione Usa" rispetto ad altre volte. Fratelli d'Italia non avrebbe mai votato contro quella risoluzione: "Ma non potevamo nemmeno votare a favore tout court", spiegano.
Sull'astensione, come confermato poi da Procaccini, ha inciso la notizia arrivata dall'Arabia Saudita ieri sera sulla proposta di un cessate il fuoco di 30 giorni in Ucraina e la ripresa dell'assistenza americana a Kiev: "Non ci stiamo smarcando da nulla, quello di Fratelli d'Italia non era un voto contro l'Ucraina", il concetto che viene ribadito. Il voto a macchia di leopardo del centrodestra, ad ogni modo, non impensierisce Palazzo Chigi: in questo momento - si sottolinea - c'è un problema internazionale ben più ampio e la maggioranza di governo ha dimostrato che nei momenti importanti "è sempre uscita unita e compatta".
Almeno per ora, non sembrerebbe all'orizzonte un vertice con Meloni e gli altri leader della maggioranza, Antonio Tajani e Matteo Salvini (anche se i tre ogni settimana si incontrano per fare il punto della situazione su tutti i dossier). Sempre da palazzo Chigi viene evidenziata la "piena sintonia" tra Meloni e il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, che rispondendo alla Camera all'interrogazione del Movimento 5 Stelle sul piano di riarmo approvato oggi dall'Unione europea ha ribadito che i finanziamenti per la difesa non andranno a discapito di sanità e servizi pubblici, rimarcando il suo no a spese per il riarmo che rialzino in modo oneroso il debito pubblico con rischi anche per la stabilità della zona euro. (di Antonio Atte)
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Il governo è "determinato" a contrastare l'evasione fiscale e allo stesso tempo alleggerire la pressione sui contribuenti onesti. Per il taglio delle tasse al ceto medio bisognerà aspettare gli esiti a fine marzo della verifica della commissione tecnica sullo stock dei debiti fiscali da 1.275 miliardi di euro. Il nuovo corso del governo per le verifiche ex ante, intanto, sta portando i primi frutti con un calo del 19% dei contenziosi nei primi due mesi dell'anno. Nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario tributario 2025 alla Camera il viceministro al Mef Maurizio Leo si è soffermato su punti fermi e benefici attesi dalla riforma fiscale.
"Il tema dell'evasione fiscale è sotto gli occhi di tutti, abbiamo un tax gap che oscilla tra 80 e 100 miliardi e dobbiamo assolutamente contrastarlo, come pure la pressione fiscale su cui il governo si è mosso con determinazione, riducendo aliquote da 4 a 3 e rendendo strutturale questa misura cui si aggiunge il taglio del cuneo", ha sottolineato Leo. Accanto a questi due pilastri della lotta all'evasione e della riduzione della pressione fiscale, anche quello della semplificazione e della certezza del diritto, pilastro fondamentale quest'ultimo per "contrastare fenomeni illeciti, ma al tempo stesso attrarre capitali da estero", ha aggiunto.
Il tutto rafforzando 'l'arsenale' ex ante per indirizzare su un percorso di collaborazione i rapporti tra Stato e contribuente. In questa cornice il concordato preventivo biennale e della cooperative compliance stanno portando i primi frutti: nei primi due mesi del 2025 rispetto ai primi due mesi del 2024 c'è stata "una contrazione del contenzioso tributario" con un calo "del 19% dei nuovi giudizio incardinati", ha detto Leo, rilevando che "in alcune corti del Sud il calo si attesta addirittura al 50%".
Si attende per fine mese l'esito della requisitoria tecnica sullo stock dei crediti non riscossi dall'amministrazione fiscale. La Commissione tecnica, istituita presso il Mef sul riordino della riscossione e l'analisi del magazzino in carico all'Agenzia delle entrate-Riscossione "sta facendo la ricognizione e all'esito di questo faremo le opportune valutazioni, penso che entro fine mese avremo dei riscontri", ha detto Leo.
La verifica sui carichi renderà più chiaro il quadro su quanti possono essere abbandonati, quanti gestiti in modo differente e quanti possono, eventualmente, essere oggetto di una rottamazione. Considerando che la montagna dello stock ammonta a 1.275 miliardi e che circa tre quarti sono debito sotto i mille euro si aprirebbero ampie chances di recupero. Ma la prudenza è d'obbligo, visto che molte appartengono a soggetti defunti o falliti.
Dalle risorse eventualmente disponibili si capirà se possibile procedere al taglio Irpef per i redditi fino a 50-60mila euro. "Vediamo le risorse e come si può fare", ha risposto Leo interpellato sulla questione. Al momento il governo può contare sugli 1,6 miliardi del gettito del concordato preventivo biennale che si è chiuso a dicembre scorso a cui andrebbero aggiunti gli incassi del ravvedimento speciale che scade il 31 marzo prossimo.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Il governo è "determinato" a contrastare l'evasione fiscale e allo stesso tempo alleggerire la pressione sui contribuenti onesti. Per il taglio delle tasse al ceto medio bisognerà aspettare gli esiti a fine marzo della verifica della commissione tecnica sullo stock dei debiti fiscali da 1.275 miliardi di euro. Il nuovo corso del governo per le verifiche ex ante, intanto, sta portando i primi frutti con un calo del 19% dei contenziosi nei primi due mesi dell'anno. Nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario tributario 2025 alla Camera il viceministro al Mef Maurizio Leo si è soffermato su punti fermi e benefici attesi dalla riforma fiscale.
"Il tema dell'evasione fiscale è sotto gli occhi di tutti, abbiamo un tax gap che oscilla tra 80 e 100 miliardi e dobbiamo assolutamente contrastarlo, come pure la pressione fiscale su cui il governo si è mosso con determinazione, riducendo aliquote da 4 a 3 e rendendo strutturale questa misura cui si aggiunge il taglio del cuneo", ha sottolineato Leo. Accanto a questi due pilastri della lotta all'evasione e della riduzione della pressione fiscale, anche quello della semplificazione e della certezza del diritto, pilastro fondamentale quest'ultimo per "contrastare fenomeni illeciti, ma al tempo stesso attrarre capitali da estero", ha aggiunto.
Il tutto rafforzando 'l'arsenale' ex ante per indirizzare su un percorso di collaborazione i rapporti tra Stato e contribuente. In questa cornice il concordato preventivo biennale e della cooperative compliance stanno portando i primi frutti: nei primi due mesi del 2025 rispetto ai primi due mesi del 2024 c'è stata "una contrazione del contenzioso tributario" con un calo "del 19% dei nuovi giudizio incardinati", ha detto Leo, rilevando che "in alcune corti del Sud il calo si attesta addirittura al 50%".
Si attende per fine mese l'esito della requisitoria tecnica sullo stock dei crediti non riscossi dall'amministrazione fiscale. La Commissione tecnica, istituita presso il Mef sul riordino della riscossione e l'analisi del magazzino in carico all'Agenzia delle entrate-Riscossione "sta facendo la ricognizione e all'esito di questo faremo le opportune valutazioni, penso che entro fine mese avremo dei riscontri", ha detto Leo.
La verifica sui carichi renderà più chiaro il quadro su quanti possono essere abbandonati, quanti gestiti in modo differente e quanti possono, eventualmente, essere oggetto di una rottamazione. Considerando che la montagna dello stock ammonta a 1.275 miliardi e che circa tre quarti sono debito sotto i mille euro si aprirebbero ampie chances di recupero. Ma la prudenza è d'obbligo, visto che molte appartengono a soggetti defunti o falliti.
Dalle risorse eventualmente disponibili si capirà se possibile procedere al taglio Irpef per i redditi fino a 50-60mila euro. "Vediamo le risorse e come si può fare", ha risposto Leo interpellato sulla questione. Al momento il governo può contare sugli 1,6 miliardi del gettito del concordato preventivo biennale che si è chiuso a dicembre scorso a cui andrebbero aggiunti gli incassi del ravvedimento speciale che scade il 31 marzo prossimo.
Palermo, 13 mar. (Adnkronos) - All'alba di oggi i Carabinieri del Comando Provinciale di Messina e i Finanzieri dei Comandi Provinciali di Catania e Messina hanno effettuato una vasta operazione nelle Province di Messina e Catania, con l’esecuzione di misure cautelari emesse dai Gip dei Tribunali del capoluogo peloritano e di quello etneo, su richiesta delle rispettive Procure, nei confronti 39 persone, a vario titolo indagate, per associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al narcotraffico, numerosi episodi di spaccio di stupefacenti, estorsione, rapina, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti - tutti reati aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 del codice penale "poiché commessi con metodo mafioso o con il fine di agevolare il clan Cappello-Cintorino' e trasferimento fraudolento di valori.
Le due ordinanze sono il risultato dello stretto coordinamento investigativo attuato tra gli Uffici Giudiziari di Catania e di Messina, sotto la supervisione della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, al fine di monitorare più efficacemente le persistenti attività, anche di sfruttamento economico del territorio, proprie dei citati clan per effetto delle cointeressenze nei territori “di confine” delle due province.
I particolari dell’operazione saranno forniti nel corso di una conferenza stampa che sarà tenuta alle ore 10:30, presso il Palazzo di Giustizia di Messina (via Tommaso Cannizzaro).
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - "Affronterò il processo con la massima serenità e con la consapevolezza di poter dimostrare la correttezza del mio operato, avendo sempre agito nel pieno rispetto del regolamento previsto dall’Assemblea Regionale Siciliana. Non ho mai, nella mia vita, sottratto un solo centesimo in modo indebito e confido che nel corso del giudizio emergerà la verità, restituendo chiarezza e trasparenza alla mia posizione. Resto fiducioso nella giustizia e determinato a far valere le mie ragioni con il rispetto e la serietà che ho sempre riservato alle istituzioni". Così Gianfranco Miccichè, rinviato a giudizio per l'uso dell'auto blu, commenta il processo che partirà a luglio. "Sono però amareggiato da quanto la stampa riporta sul fatto che, secondo il pm avrei arraffato quanto più possibile- dice - Nella mia vita non ho mai arraffato alcun che e su questo pretendo rispetto da parte di tutti".
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - L'ex Presidente dell'Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè è stato rinviato a giudizio con l'accuaa di peculato e concorso in truffa aggravata il. La prima udienza del processo si terrà il 7 luglio davanti alla terza sezione del tribunale di Palermo. Secondo l'accusa il politico, ex viceministro dell'Economia, avrebbe usato l'auto blu in dotazione, in quanto ex Presidente dell'Ars, per fini personali. In particolare avrebbe usato, non per fini istituzionali, l’Audi della Regione, per una trentina di volte, tra marzo e novembre del 2023, anche per fare visite mediche, e persino per andare dal veterinario con il gatto. Avrebbe fatto salire sull'auto anche componenti della sua segreteria e familiari.
Il suo ex autista, Maurizio Messina, che ha scelto il rito abbreviato, è stato invece condannato dal giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta a un anno e mezzo di carcere per truffa, più sei mesi con l'accusa di avere sottratto la somma che gli era stata sequestrata durante le indagini.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - La Corte di Assise di Appello di Milano ha assolto, ribaltando la sentenza a sette anni inflitta in primo grado, Salvatore Pace per il concorso nell'omicidio di Umberto Mormile, l'educatore del carcere di Opera ammazzato l'11 aprile 1990. Il delitto fu rivendicato dalla Falange Armata, organizzazione terroristica sulla quale gravitavano mafiosi, 'ndranghetista e componenti dei servizi segreti deviati. Mormile, 34 anni, venne assassinato a Carpiano, nel Milanese, mentre andava al lavoro, quando due individui in sella a una moto esplosero contro di lui sei colpi di pistola. Secondo l'accusa, Pace, 69 anni, diventato collaboratore di giustizia, si sarebbe messo a disposizione dei mandanti dell'omicidio. "Attendo di leggere le motivazioni" è il commento dell'avvocato Fabio Rapici, legale di alcuni dei familiari della vittima.