In occasione della “Giornata regionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie”, si è svolto a Reggio Emilia l’incontro aperto al pubblico tra il procuratore capo di Bologna Roberto Alfonso, il sindaco di Isola Capo Rizzuto Carlina Girasole e il professore Enzo Ciconte.
Quest’ultimo è autore di quello che è ormai un classico della storiografia sulle mafie al nord, “Mafia, camorra e ‘ndrangheta in Emilia Romagna”, primo libro a occuparsi di una realtà ormai accertata: il radicamento nelle regioni a nord delle cosche mafiose. “L’Emilia Romagna non è al grado d’infiltrazione di Lombardia, Liguria e Piemonte, ma iniziano a esserci segnali preoccupanti”, spiega Ciconte, ex deputato membro della Commissione giustizia nonché consulente presso la Commissione parlamentare antimafia per oltre dieci anni, “la ‘ndrangheta inizia a bussare alle porte della politica. Per ora le porte sono rimaste chiuse, ma non significa che non possano aprirsi. In tutti questi anni il problema è stato sottovalutato e negato”.
Ora questa consapevolezza sembra acquisita. Qual è il passaggio successivo?
Qui a Reggio il prefetto Antonella De Miro ha fatto cose importanti con le interdittive antimafia, per esempio. La pubblicazione degli appalti e l’impegno a non fare gare col massimo ribasso d’asta sono passaggi fondamentali per una politica che vuole essere di contrasto. L’associazione “Avviso pubblico” (http://www.avvisopubblico.it/) sta lavorando bene, perché mette in raccordo comuni, provincie e associazioni di categoria. Insomma, le amministrazioni comunali sono determinanti, in quanto titolari delle attività economiche sul fronte dell’edilizia.
Ci sono comuni in Emilia Romagna che non la convincono?
I comuni che negano la questione. Quello che succede fra Rimini e San Marino non è un fatto normale. Si stanno scoperchiando vicende economiche di primissima rilevanza, e a Rimini come si reagisce? Io non vedo ancora una risposta impegnata su questo fronte. E a Bologna? Cosa sta succedendo sotto la pelle di quella città? Pensiamo solo al clan Mancuso: siamo di fronte a una strategia ben precisa. Quando arrivarono i “Cavalieri del lavoro” a Bologna, Renzo Imbeni li bloccò, eppure avevano vinto la gara. Costa tanto continuare su quella strada? Sempre a Rimini sta avvenendo una cosa particolare: l’acquisto del debito. I creditori non riescono a recuperare i propri soldi e si rivolgono all’attività mafiosa, in questo caso i Casalesi, pagandola con il 50% della riscossione stessa, perché si faccia restituire il denaro dai debitori. Si crea così un giro di compre-vendita del debito.
Una servizio di recupero credito illegale?
Si. Pagati dall’imprenditore, riscuotono il debito secondo le modalità mafiose note. Meccanismo sottotraccia che deturpano l’economia legale: un’azienda che riesce a recuperare un credito in questo modo, seppur dimezzato, si avvantaggia rispetto a chi non usufruisce di queste dinamiche e fallisce. E magari si suicida: perché il suicidio è l’altra faccia del ragionamento che stiamo facendo.
Difficoltà dell’amministrazione a distinguere il buon dal cattivo, si diceva: possibile?
Era possibile. Ora si dovrebbe aver capito che se le richieste non sono normali, come una licenza per costruire su un terreno non edificabile o pressioni indirette, è chiaro che c’è qualcosa di anomalo. Richieste in difformità della legge qualcosa lo dovrebbero segnalare.
Che rapporto c’è fra la criminalità organizzata e le cooperative?
Evidenze giudiziarie finora non ce ne sono state. Ma è chiaro che se una cooperativa ragiona come una qualsiasi azienda privata, prima o poi si incrocia con la criminalità organizzata. Lì viene fuori la questione: ci fai affari o non ci fai affari?
In Emilia Romagna la maggior parte degli appalti viene gestita dalle cooperative, e di conseguenza i subappalti. È possibile che queste aziende non sappiano di aver affidato lavori di subappalto a ditte affiliate alla malavita?
Questo è il problema. Gli appalti si vincono, ma il subappalto è a discrezione dell’azienda appaltatrice. Sta proprio all’ente appaltatore controllare. Chi vince gli appalti, anche al sud, sono ditte pulite, con tanto di timbro dell’antimafia. Ma è negli affidamenti che subentrano le mafie. L’appaltatore che dice che non poteva sapere, che non era compito suo controllare, non me la racconta giusta: di chi è il compito di accertarsi dell’affidabilità di una ditta, se non a colui che gli affida il lavoro?
È impossibile che non si sappia a chi si affida un lavoro?
Ma certo. Torna il problema di prima: controllo e capacità di discernere.
Se dovesse scrivere le mafie in Emilia Romagna oggi?
Mi anticipa. L’ho scritto e uscirà fra un paio di mesi.