Possiamo almeno dire che è una riforma equa, che toglie ai vecchi per dare ai giovani, distribuendo tra generazioni il peso della crisi? In parte. È vero che finora l’insofferenza delle imprese per la rigidità del mercato del lavoro italiano è stata scaricata sui precari. E la riforma del governo Monti, va sottolineato, introduce novità rilevanti a difesa dei lavoratori più fragili: basta con le false partite Iva, contratti precari più costosi per le aziende, spinge verso il canale dell’apprendistato che dovrebbe evitare l’eterna reiterazione dei contrattini a progetto.
Però c’è il contesto: la riforma delle pensioni condanna le imprese a tenere i lavoratori anziani, demotivati e poco produttivi, fino a 67 anni. Facilitando i licenziamenti economici si fornisce l’incentivo a liberarsene per sostituirli con altri, più giovani e più economici. I cinquantenni di oggi rischiano quindi di trovarsi senza lavoro, senza pensione e con pochi ammortizzatori sociali, “esodati”, come quelli (oltre 200 mila) travolti dalla riforma Fornero per aiutare i quali il governo non riesce a trovare le risorse. D’accordo, i cinquantenni di oggi hanno avuto una vita più facile di quella dei loro figli. Ma sostituire un’emergenza sociale con un’altra non sarebbe un gran risultato.
Poi c’è la politica. La prova di forza di Monti, con la Cgil pronta allo sciopero generale, serve a compattare la maggioranza al centro, come auspica Napolitano? Per ora l’unico risultato è che l’asse Pdl-Udc è più forte, ma il Pd è traumatizzato, umiliato. A forza di isolare gli estremi il governo rischia di trovarsi con una base risicata. E forse a quel punto anche Monti dovrà chiedersi: ne valeva la pena?
Il Fatto Quotidiano, 22 Marzo 2012