Principessa e Amore abbaiano. Come il loro padrone, non si fidano più. Istintive, presidiano l’entrata. Oltre la targa “Senatore Cecchi Gori”, il tapis roulant nell’ingresso, la porta bianca, i filippini in livrea e il filtro della fidanzata Philly, bionda, ex ballerina di burlesque, c’è Vittorio. Dalle finestre affacciate su Palazzo Borghese grida: “Non mollo”. Intorno il silenzio di chi è rimasto solo. Negli ultimi dieci anni tra una perquisizione, un sequestro e qualche arresto: “Nel 2001 entrarono in 16, con le armi in pugno” ha sofferto. Il produttore cinematografico che ebbe un impero, oggi sorveglia cause e macerie di retroguardia. Gli occhi azzurri smarriti in un dedalo di rughe e battaglie represse. L’ultima non ha data né calendario. Domani, sempre domani, finché morte non lo separi: “Vincerò su ogni fronte, ma per farlo, dovrei vivere ancora mezzo secolo. Chissà se mia madre mi avrà fatto abbastanza forte?”.
Cecchi Gori, il giudice che si occupò del fallimento della Fiorentina è stato condannato a 15 anni.
Si chiama Puliga. Era accusato di corruzione, peculato, abuso d’ufficio, falso, interesse privato in procedure concorsuali e concorso in bancarotta. Interdetto per sempre dai pubblici uffici. Fagocitò la Fiorentina e mi mandò in malora. Le basta? Avevo ragione e ho fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Lì forse mi ascolteranno e forse avrò finalmente un po’ di giustizia. Poi quel che sarà sarà.
Ne è sicuro?
Ci spero. Con i miei avvocati, trascorro una luna di miele senza pause. Studiamo le carte tutti i giorni. Un magistrato non avrebbe dovuto alterare il quadro per favorire qualcun altro.
Attacca la magistratura?
Al contrario. La rispetto e mi piacerebbe credere che quella piccola percentuale disonesta si possa ravvedere.
Quale percentuale?
È un tumore maligno del nostro paese. Un potere enorme al servizio dei soliti noti che hanno potuto fare tutto ciò che hanno voluto. L’altro giorno ho incontrato Di Pietro e gliel’ho detto.
Era d’accordo?
Totalmente. Ci sono ex presidenti del Consiglio italiani che pur imputati in processi con gravi accuse sulla testa non si sono mai fatti un giorno di galera. Sono mai andati dentro? Se vogliono posso raccontare com’è. In prigione ho trascorso qualche mese.
I suoi ex compagni in Parlamento?
Finte liquidazioni, pesce nelle vasche da bagno, conti all’estero. Il partito degli ignavi in questi anni ha saputo solo rubare e tacere. Rutelli e Marini mi fregarono, mi sbatterono ad Acireale, ma io in politica non sarei mai dovuto entrare. Lo feci per Martinazzoli e per combattere la battaglia sulle tv. Il grande errore della mia vita. Una strada pericolosa che mi ha quasi ucciso.
La politica di oggi?
Noia e disinteresse. Ma Berlusconi non tornerà.
Noiosa e peggiore di quella di ieri?
Ci scopriamo più sporchi e adesso tutti mi danno ragione. È la peggiore offesa che mi potessero fare. All’epoca eseguii le direttive. Ero l’imprenditore prestato alla politica, non il contrario, come nel disegno berlusconiano. Non ho mai dato una lira a nessuno.
Ha seguito l’affaire Margherita?
Certo, ma le dico la verità, non me ne importa nulla. Sesso, soldi facili, droga, che lezione ci ha lasciato la politica?
La droga la trovarono anche da lei.
Una barzelletta. Sapendo che sarei stato perquisito secondo lei, nella cassaforte e in bella vista avrei lasciato 4 grammi di cocaina? Ma non scherziamo. Se l’avessi usata non giocherei a tennis tutte le mattine. Ce la misero. E poi, a cagnara mediatica tramontata, in silenzio, mi assolsero.
Non stima nessuno nel Palazzo?
L’unico è Fini. Le sembrerà puerile, ma fu gentile con mia madre.
Ha mai conosciuto Lusi?
Mai. La politica costa, l’ipocrisia è lo sport nazionale ed è difficile che spariscano milioni nel nulla, ma l’ultima vera partita disputata sul suolo patrio, mi ripeto, fu quella decisiva per il controllo sulle televisioni.
Lei la perse.
Neanche un po’. Me la fecero perdere. Portai Tmc a 13 milioni di spettatori, spaventai, venni lasciato solo. Mi inventai l’Auditel di Stato. Un’idea rivoluzionaria che avrebbe reso il re nudo e messo in difficoltà Mediaset. La presero male. Addirittura ci fu qualcuno che mi minacciò per questo.
Chi la minacciò?
Un pubblicitario molto bene introdotto in certe televisioni. Il nome non lo faccio, eviterei le querele.
Con Berlusconi parla mai?
Sa chi è davvero Berlusconi? Il giorno del funerale di mio padre Mario, Silvio scrisse una bella lettera, venne al funerale e sostenne persino la bara. La mattina dopo, chiuse d’imperio le società Penta che avevamo costruito insieme.
Però.
Le racconto una storia. Un giorno mi telefona Bernasconi, mio caro amico, capo di Retitalia, l’uomo che nel processo Mills secondo l’accusa pagò l’avvocato inglese. Siamo nel 2001. Bernasconi disse: “Sono ricoverato al San Raffaele, ma non mi curano”. Era disperato. Contatto immediatamente Berlusconi: “Guarda che l’amico Carlo non sta bene”. Lo trasferirono al Niguarda e gli misero un cuore elettrico. Dopo tre giorni morì.
Cosa vuole dire?
Niente di particolare. Mi spiegate cosa è successo realmente a Bernasconi?
Almeno con Confalonieri parlava?
Certo. Mi chiamò per dirmi serio: “Tanto non scappi. La Library te la portiamo via. Ti facciamo fallire”. Risposi che era matto. Un paradosso. È la stessa cosa che dissero di me quando avvertii a tempo debito i democristiani nel ’92: “Guardate che di Publitalia Berlusconi farà un partito”. Non mi diedero retta. Ero il coglione in mezzo ai furbi.
I film glieli portarono via davvero.
Una grossa ferita che non si rimarginerà mai. Finché vivrò combatterò per riaverli. La storia del cinema italiano svenduta. Monicelli, Pasolini, Benigni, Risi, Verdone e tanti altri ancora. Gli stessi 800 film che per pochi passaggi tv, anni fa, mi vennero pagati 200 milioni di euro, ceduti a Rti per due spicci. O ero stato bravo o gli altri erano stati stupidi. Lei non può immaginare quello che può rendere la Library, una fortuna letteralmente regalata.
Come?
Con un’asta convocata tramite annuncio sul giornale. All’udienza non si presentò nessuno e se la aggiudicò Rti.
Le hanno tolto anche l’Adriano.
L’hanno dato in gestione a un signore che non paga e che ha licenziato oltre la metà dei miei ragazzi. In tempi non sospetti denunciai alla Procura di Perugia quello che oggi accade puntualmente.
La 7 era sua.
Telecom non mi ha mai pagato. Un altro scandalo. Sa com’è? Quando i poteri forti decidono di schiacciarti sottrarsi è complicato. D’altronde se Telecom avesse pagato, io a mia volta avrei saldato l’unico mio debito reale, quello con Unicredit e sarebbero anche avanzati soldi per altri film.
I poteri forti?
So di cosa parlo.
Adombrano i poteri forti anche i Della Valle. La Fiorentina è a un passo dalla B.
Della Valle fu una pedina di un gioco più grande di lui e approfittò della situazione. I fiorentini l’hanno capito. In ritardo, ma l’hanno capito.
Da presidente della Fiorentina la accusarono di riciclaggio.
Come recita la sentenza: “Assolto per non aver commesso il fatto”. Intanto, per tre anni mi hanno bloccato i conti e fatto pagare in un solo giorno 50 milioni di trattenute.
Il calcio è una storia complicata.
Le scarpe nelle Marche o altrove non sapevo farle, ma in due cose eccellevo. Pallone e cinema. Me li hanno tolti entrambi. Un altro al posto mio sarebbe già diventato pazzo, ma io non mollo.
Non vinse lo scudetto però.
Me lo impedirono, ma dato che, tanto per essere chiari, vivo a Roma dal 1950 tentai di aiutare Sensi a vincere al posto mio: “Mi vogliono fottere, ma se vuoi ti cedo Batistuta”.
Lui accettò.
70 miliardi per un giocatore di 33 anni. Proprio stupido non ero, no?
Lei dice cose molto dure.
Non potermi esprimere rappresenterebbe la più grande sconfitta della mia vita. Vorrebbe dire che siamo in un regime stalinista. Mi rifiuto di crederlo.
Progetti?
Ho in programma un paio di coproduzioni in America, dove mi hanno chiesto di fare un film sulla mia vita.
Prova rancore?
Sono contro la violenza, ma qualche amarezza la provo. Il medico mi ha detto che sto bene, ma ho una nuvola sulla testa. La vendetta sarà tornare a vincere un Oscar. Non è meglio di diventare presidente del Consiglio?
Società
Vittorio Cecchi Gori: “Confalonieri mi disse: ‘Tanto non scappi, ti facciamo fallire'”
E su Berlusconi: "Al funerale di mio padre, Silvio scrisse una bella lettera, venne e sostenne persino la bara. Il giorno dopo chiuse le società in comune"
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