Ha raggiunto la celebrità grazie a una cover di Seven Nation Army dei White Stripes, che nel 2003 venne considerata unanimemente “migliore canzone rock”, e che lui ha rivisitato in chiave Soul. Il suo primo album ha venduto oltre mezzo milione di copie ottenendo quattro dischi di Platino in Francia. Classe 1984, originario di Tours – una cittadina della Loira francese – da ormai qualche anno è considerato l’artista soul per eccellenza: stiamo parlando di Benjamin Duterde in arte Ben L’Oncle che, approdato nel 2009 sulla scena musicale francese, oggi stupisce per l’abilità nel coniugare il soul, il jazz e il rock con un’energia e una classe che ci riportano ai grandissimi interpreti degli anni ’60, senza però cadere in uno stile marcatamente retrò. Idolo della rete grazie ai suoi videoclip, si appresta a terminare un tour mondiale sold-out che lo ha visto protagonista lo scorso dicembre al Blue Note di Milano e qualche giorno fa al Ghironda Winter & Spring Festival di Martina Franca (Ta). Anticipato dalla hit Soulman il suo omonimo album d’esordio “Ben L’Oncle Soul” verrà pubblicato anche in Italia il prossimo 26 marzo un album composto da 14 brani in puro stile Motown.
Ben, come nasce il tuo disco e quali sono i temi che maggiormente ti hanno ispirato? E poi, una curiosità: come ti sei avvicinato al genere Soul?
Sono cresciuto ascoltando artisti usciti dalla cosiddetta “vecchia scuola della musica Soul”. Devo comunque sicuramente a mia madre la mia educazione musicale: lei è una gran fan di Otis Redding, uno dei primi artisti che scoprì da giovanissima. Quando era incinta ascoltava continuamente il disco “Otis Blue” di Otis Redding. Ed era inevitabile che venissi folgorato da questo grandissimo artista. La sua influenza è riscontrabile in gran parte della mia produzione. Ho iniziato da giovanissimo a esibirmi, dapprima in un coro gospel, dopo, crescendo, ho conosciuto diversi musicisti che mi hanno coinvolto e mi hanno invitato a suonare con loro nei club della capitale francese.
Credi che la musica contemporanea sia soggiogata dal suo ingombrante passato oppure che ci siano margini per poter guardare avanti ed evolvere? Creare qualcosa che non è ancora stato fatto?
Per quanto mi riguarda, come prima cosa cerco di andare in profondità, alle radici della Soul Music per far luce su tutto quel che dietro questa possa celarsi e, può sembrare strano, mi sento ancora un neofita… come un ragazzo alle prime armi. Credo che sia possibile far evolvere la musica, molto spesso un’evoluzione avviene attraverso il mix di vari generi. Istintivamente cerco di dare un tocco di modernità alla mia musica, essendo influenzato dai generi che mi piacciono… solitamente ascolto musica della Motwon, ma non disdegno l’Hip Hop, il Reggae e il Rock… Unirli al Soul può essere un bell’esperimento. E la mia cover di Seven Nation Army sta a confermarlo…
Come vedi il panorama musicale attuale? Ci sono realtà a noi sconosciute che operano e se ne conosci ce ne puoi parlare?
Un’artista di cui non si sente parlare molto, ma che adoro, è Sharon Jones and the Dap Kings. Non so se è conosciuta in Italia, ma lei è un vero portento, ha una energia pazzesca e assistere a una sua esibizione è qualcosa di stupefacente! Mi piacerebbe segnalare la scena Soul di New York dove Charles Bradley e Mayer Hawthorn sono gli esponenti di spicco.
Prevedi date in Italia? E qual è la considerazione che hai del nostro Paese?
Sì, suonerò a Roma il prossimo 25 marzo, unica data in programma dopo il concerto che ho tenuto nel Sud Italia in Puglia a Martina Franca. Mi piacerebbe tornare in estate: l’Italia è un gran paese e con un gran pubblico. Qui il Jazz, il Soul, ma anche il Funky hanno molti estimatori… Vale davvero la pena tornare!