Manca solo l'ufficialità alla voce di un nulla osta di Berlino per portare a 940 miliardi il "firewall" contro l'apertura di nuove crisi del debito. Pesa la pressione europea e il ruolo del Fmi che aveva chiarito la propria indisponibilità ad aumentare le risorse senza un nuovo intervento europeo
Il sostanziale accordo raggiunto con i tedeschi, sottolinea il Financial Times, dovrebbe quindi tradursi in un’intesa definitiva in occasione del vertice dei ministri finanziari in programma a Copenhagen venerdì prossimo. “L’aspetto chiave consiste ora nel concludere l’intervento complessivo di risposta alla crisi” ha dichiarato il commissario agli affari monetari Ue Olli Rehn a margine dell’incontro informale con gli altri leader europei a Saariskelä, in Finlandia. Proprio la Finlandia ha rappresentato fino ad oggi l’altro grande ostacolo sulla strada dell’estensione del cosiddetto “firewall”, l’insieme delle risorse e delle garanzie destinate a proteggere gli Stati membri. L’ipotesi, a questo punto, è che anche Helsinki accetti di allinearsi sulla posizione prevalente.
Dietro al via libero della Germania c’è ovviamente la crescita della pressione internazionale. Dopo l’intervento salva banche, dall’Europa al Fmi è cresciuto il pressing attorno al fronte dei “rigoristi” contabili per un incremento delle risorse del firewall. Christine Lagarde, in particolare, ha giocato d’anticipo chiarendo che il Fmi non avrebbe deliberato alcun aumento delle proprie risorse senza un ulteriore intervento europeo. E’ chiaro, a questo punto, che l’ok tedesco all’estensione del fondo europeo potrebbe dare il via a un nuovo impegno da parte dei contribuenti internazionali, con le economie emergenti indiziate numero uno (più difficile, per il momento, sperare in un ulteriore impegno da parte degli Stati Uniti).
Secondo le stime ufficiali, l’estensione del firewall dovrebbe garantire una liquidità di pronto intervento da 740 miliardi dal momento che i restanti 200 sono tuttora “attivi” a sostegno dei tre Paesi che hanno chiesto e ottenuto l’accesso ai fondi, ovvero Irlanda, Portogallo e Grecia. Ma non è affatto escluso che in futuro ci si trovi costretti ad attingere nuovamente alle risorse disponibili. E’ l’ipotesi avanzata un paio di settimane fa dall’ex membro del comitato esecutivo della Bce Lorenzo Bini Smaghi che, dalle colonne del Financial Times, aveva lanciato l’allarme sulla probabile incapacità di Dublino e Lisbona di uscire dalla crisi con le sole risorse attuale sottolineando quindi la necessità di sbloccare al più presto nuovi aiuti ai due Paesi per complessivi 180 miliardi. Una strategia che implica necessariamente un rinnovato impegno dei fondi Salva-Stati e del Fmi. Esattamente quanto previsto dal piano di Olli Rehn e del fronte “interventista” europeo.