Cultura

Green Italy, la prefazione di Ivan Lo Bello: “Superare la crisi, ora”

"Abbiamo bisogno di idee nuove. Del resto, come diceva Albert Einstein, 'non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato'"

di RQuotidiano

Pubblichiamo la prefazione integrale di “Green Italy” di Ermete Realacci (Chiarelettere) firmata da Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia

Superare la crisi, ora

Viviamo la fase più complessa e difficile della nostra storia repubblicana. Mai come ora crisi economica e morale si sono intrecciate, in una profonda recessione che ha radici nazionali e internazionali. Per questo abbiamo bisogno di idee nuove come quelle proposte in questo libro: per mettere in moto le energie migliori del paese e affrontare la crisi. Del resto, come diceva Albert Einstein, «non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato».

Nel 1989 il crollo del muro di Berlino e degli ormai logori equilibri internazionali, lungi dal rappresentare la «fine della storia», determinò una profonda accelerazione di processi storici già in corso. Mentre il mondo bipolare della guerra fredda mostrava la corda, pochi erano in grado di comprendere le profonde trasformazioni dell’apparato produttivo occidentale e la «seconda grande marcia» della Cina: una rincorsa già avviata e che di li a poco avrebbe modificato gli equilibri economici e politici mondiali. Allo stesso tempo l’Europa dopo Maastricht e il grande progetto politico ed economico della moneta unica vedeva il ritorno delle logiche e degli egoismi nazionali. In tanti ritennero allora che la storia si fosse fermata e che da quel momento una buona amministrazione avrebbe potuto sostituire la politica alta che nel secondo dopoguerra e a cavallo degli anni Ottanta e Novanta aveva scritto un pezzo rilevante della storia europea.

Il nostro paese ha vissuto questi processi in modo traumatico, con il crollo del vecchio sistema politico e con una seconda repubblica che ha presto mostrato le sue debolezze strutturali. Abbiamo trascorso gli ultimi quindici anni (con l’importante eccezione dello sforzo politico ed economico per l’ingresso nell’euro) senza un progetto strategico per il nostro paese. È prevalsa l’idea di un eterno presente che ha anestetizzato tante energie e offuscato la capacità di comprendere i grandi cambiamenti in atto. Mentre i processi di globalizzazione e i nuovi paradigmi tecnologici avanzavano a ritmo serrato, modificando gli equilibri economici e sociali, nuovi vincitori e vinti si affacciavano sulla scena mondiale, nuove ricchezze e nuove diseguaglianze riscrivevano gli equilibri sociali.

Credere in una nuova Italia

Avremmo dovuto in questi anni combattere la cultura della rendita, il diffuso degrado civile e morale, coniugare mercato e regole, riformare e restituire prestigio e autonomia alla macchina amministrativa. Ma soprattutto avremmo dovuto credere in noi stessi, nella nostra capacità di superare le avversità storiche, di condividere sacrifici e successi. È prevalsa invece, come già in passato, un’idea «negativa», quella di un paese incapace di assumersi fino in fondo le proprie responsabilità. Scriveva Guido Carli (citato da Sabino Cassese nel recente: L’Italia: una società senza Stato?): «Il vincolo esterno ha garantito il mantenimento dell’Italia nella comunità dei paesi liberi. La nostra scelta del vincolo esterno è una costante che dura fino ad anni recentissimi… Essa nasce dal ceppo di un pessimismo basato sulla convinzione che gli istinti animali della società italiana lasciati al loro naturale sviluppo avrebbero portato altrove questo paese». Sempre Carli in relazione ad alcune riforme sostiene che furono concepite «per sbarrare la strada a colpi di mano sul debito pubblico da parte di una classe politica cosi debole e screditata da non avere la forza né l’autorità morale di far accettare sacrifici ai propri elettori dopo aver largheggiato nel distribuire privilegi».

Questa è quasi sempre la nostra autorappresentazione che coglie alcune verità, ma lascia sullo sfondo l’Italia dell’innovazione, della scommessa «verde», della internazionaliz- zazione, della solidarietà, della lotta alla mafia. L’Italia del cambiamento che ha percorso in silenzio il nostro paese, e che per prima, lontana dal clamore mediatico, ha lavorato dentro la dimensione globale e le grandi trasformazioni sociali, economiche e tecnologiche. Un pezzo del paese che si è confrontato con il futuro e con le nuove sfide competitive mettendo in discussione modelli sociali ed economici ormai obsoleti. Qui sono le radici della Green Italy proposta e raccontata in questo libro.

Rimane purtroppo forte dentro pezzi della classe diri- gente nazionale, la vecchia Italia che si confronta con le nostalgie del passato che fu, dei tanti che a Sud e a Nord del paese ancora cercano mercati protetti, degli orfani delle svalutazioni competitive e della spesa pubblica. La sfida è andare oltre il racconto dei tanti casi di successo costruendo una nuova e duratura «egemonia culturale», in grado di proporre alla società italiana una «nuova via» che sappia coniugare tradizione, saperi, innovazione, sostenibilità, regole, senso dello Stato e dell’etica pubblica. Dentro questa ancora lunga transizione sarà necessaria una forte coesione sociale. Occorrerà aiutare i tanti che dovranno acquisire nuove e inedite competenze, offrire ai giovani percorsi formativi adeguati al nuovo scenario, includere nei processi sociali ed economici i tanti immigrati che, in un paese con demografia calante, rappresentano una delle poche opportunità di crescita.

Le donne hanno e dovranno avere ancora di più nel nostro paese un ruolo fondamentale. Innovazione, sostenibilità, istruzione, cultura, coesione sociale, riduzione delle diseguaglianze sono le chiavi su cui costruire il nostro futuro.

In tanti in questi anni hanno parlato del cambiamento, alcuni hanno discettato genericamente delle magnifiche e progressive sorti che attendevano il nostro paese, altri ne hanno vaticinato l’irreversibile declino, quasi compiaciuti dell’avverarsi di quello che per molti sembra un destino storico; pochissimi hanno raccontato sul campo con occhi sgombri da ogni tesi precostituita la trasformazione italiana dal Nord al Sud del paese.

Coniugare tradizione e innovazione

Ermete Realacci è uno dei pochi che ha attraversato l’Italia, non solo per trovare conferma a una tesi ma per capire il paese, le sue aziende, i suoi centri di ricerca, le reti di solidarietà, per raccontarne le piccole e grandi trasformazioni, per trovare nell’Italia che c’è la chiave di un comune futuro.

Già nel suo precedente lavoro, Soft economy, erano emersi molti dei temi trattati in questo libro, che oggi si confrontano con gli effetti della crisi dei subprime e con l’attuale crisi del debito sovrano che colpisce duramente il nostro paese e una parte rilevante del continente europeo. Le valutazioni e i «racconti» di Ermete Realacci, appaiono oggi ancora più «urgenti», perché dalla crisi si esce non solo con la disciplina fiscale, ma soprattutto accelerando le trasformazioni di cui abbiamo parlato, con un «salto» rinviato troppo a lungo.

I casi raccontati nel libro mostrano un’Italia capace di innovare i processi produttivi, di mettere sul mercato nuovi prodotti innovativi, di coniugare tradizione e innovazione, di modificare radicalmente i modelli di business anche in settori tradizionali e maturi. Nuovi consumi e stili di vita (non solo nei paesi occidentali) stanno accelerando la trasformazione del nostro apparato produttivo. Temi come sostenibilità, innovazione, qualità, design, tradizione e saperi sono centrali nelle strategie di molte imprese: la green economy oggi nella sua accezione più ampia sta dentro la catena del valore delle aziende e costituisce un fondamentale fattore di competitività. Per questo temi come la tutela del paesaggio e la valorizzazione delle nostre risorse culturali assumono un «valore» che va oltre la mera conservazione, per acquisire il ruolo di asset strategici per la capacità competitiva del nostro paese.

L’impegno del mondo imprenditoriale

Su questi temi è forte l’impegno del mondo imprenditoriale. Confindustria Sicilia ha recentemente sottoscritto un documento congiunto con Legambiente contro un ennesimo disegno di legge regionale sulla sanatoria delle case abusive e ha proposto di destinare una parte dei fondi comunitari alla demolizione degli edifici non sanabili, restituendo il territorio a una fruizione collettiva. Il recupero delle coste e del paesaggio come investimento sociale ed economico.

Oggi è necessario che il nostro individualismo si coniughi con la cultura della responsabilità (anche e soprattutto verso la dimensione collettiva) e una forte etica pubblica. Il nostro paese è migliore della sua tradizionale rappresentazione: ne sono testimonianza le tante reti di solidarietà del terzo settore, associazioni come Libera e il suo impe- gno nella gestione dei beni confiscati, i tanti giovani che da Palermo alla Toscana e alle altre regioni si oppongono con coraggio alla presenza e alla cultura mafiosa.

L’Italia è oggi frenata nella sua voglia di modernità e solidarietà da fenomeni endemici come la corruzione, l’evasione fiscale e la presenza delle mafie, che hanno un forte impatto sulla tenuta etica del paese e sulla sua crescita economica. Sono temi che tutta la classe dirigente del paese deve affrontare con una forte e duratura determinazione. Le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia partite in sordina, grazie al ruolo decisivo del presidente Napolitano, hanno rinvigorito il nostro latente sentimento nazionale; un sentimento aperto, solidale e consapevole che il pre- sente e il futuro del nostro paese si giocano nel quadro di un’Europa più forte e integrata. Dobbiamo ripartire da questo rinnovato sentimento nazionale e mettere definitivamente al bando quella cultura del «vincolo esterno», simbolo deteriore di un’Italia priva di un orizzonte strategico, incapace di assumersi le proprie responsabilità, condannata a un’eterna minorità!

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