Nel 2001 gli ellenici si affidano alla banca americana per rientrare nei limiti imposti da Bruxelles per l’Eurozona. L'accordo permetteva di ridurre di 2,8 miliardi di euro il debito pubblico mediante uno swap
Nel 2001 i greci dovevano disperatamente ridurre il debito pubblico per rispettare i limiti imposti da Bruxelles per l’Eurozona, dove erano entrati a far parte il primo gennaio dello stesso anno. Avrebbero potuto centrare lo stesso obiettivo aumentando le tasse o riducendo la spesa pubblica. Preferirono accettare “l’aiuto” di Goldman Sachs, che allora beneficiava ancora della sua reputazione di banca d’affari seria, consulente di imprese e governi per le privatizzazioni e le scalate aziendali. Ma che in realtà si stava progressivamente trasformando in una macchina d’assalto degli strumenti finanziari derivati, negoziati al di fuori dei mercati tradizionali. Sì, era quello di cui aveva bisogno Atene. Sottoscrisse con la banca un accordo, che permetteva di trasformare mediante uno swap 2,8 miliardi di euro di debito (solo il 2% del totale, ma necessario per ritoccare i conti di quanto si doveva) in dollari e yen in un prestito emesso in euro, ma sulla base di un tasso di cambio storico (e fittizio), che non corrispondeva alla realtà. Il contratto consentiva di sottrarre 2,8 miliardi al debito pubblico, assorbiti dall’opaco mondo della finanza ombra: Goldman prestava segretamente quei soldi alla Grecia. Sardelis ammette oggi che altri Paesi europei, come l’Italia, hanno impiegato metodi simili.
L’accordo venne raggiunto nel giugno 2001. Come indicato dagli ex alti funzionari greci alla Bloomberg, oltre a quei 2,8 miliardi, Atene dovette sborsare 600 milioni a Goldman Sachs, costo immediato dell’operazione: una sorta di commissione, elevatissima (molto più alta del costo di una equivalente sul mercato obbligazionario “normale”, alla luce del sole), dovuta all’alta rischiosità dell’operazione. Per finanziare il primo swap, lo Stato ellenico ne sottoscrisse un secondo con Goldman Sachs, che a sua volta “derivatizzava” tutti questi contratti, scaricandoli su altri investitori, sotto forma di Cds e diversi strumenti della finanza ombra. Proprio su questo secondo swap, agganciato ai tassi del mercato obbligazionario, i primi problemi iniziarono con gli attentati dell’11 settembre del 2001. I costi dell’operazione esplosero. E le cose non migliorarono quando, nel 2002, la banca decise di legare lo swap a un indice calcolato sulla base dell’inflazione dell’Eurozona. Quando, nel 2005, si decise di ristrutturare il debito iniziale di 2,8 miliardi, questi erano già diventati 5,1. A scapito dei contribuenti greci.
Il meccanismo era talmente complesso che Sardelis a Papanicolaou hanno oggi ammesso che ai tempi né loro, né altri all’interno dell’amministrazione ellenica potevano rendersi conto di quello che stavano comprando e trattando. Non solo: “Sardelis, che negoziò il contratto, non poté fare quello che si fa normalmente in questi casi, andare sul mercato e verificare se le condizioni offerte fossero giuste – ha precisato Papanicolaou – perché i dirigenti di Goldman Sachs glielo vietarono: nel caso, l’accordo sarebbe saltato”. E Atene doveva fare in fretta: come perdere l’occasione di partecipare all’impresa dell’euro? E ottenere così nuovi prestiti a tassi bassissimi? A negoziare per conto della banca era l’aggressiva Addy Loudiadis, di origini greche, che con i dirigenti di Atene aveva un rapporto stretto. Ispirato alla fiducia. Per una ragione che sfiora l’assurdità: perché la Loudiadis nel 1999 li aveva messi in guardia contro un’offerta simile a quella di Goldman avanzata da un’altra banca d’affari. Rifiutata, almeno quella volta.