Un esempio di atteggiamento antiscientifico “classico” è quello presentato dalla negazione dell’origine infettiva virale dell’Aids. Ricordo all’inizio degli anni ‘80 i primi articoli che uscivano sul New England Journal of Medicine o su Jama o Lancet che riferivano di questa nuova sindrome: l’Aids, che appariva minacciosa e non facilmente curabile. Parlando fra di noi in Ospedale prevedevamo che presto sarebbe sopraggiunta in Italia e ci avrebbe riguardato molto da vicino. Facile profezia. Puntualmente questo si verificò e per i successivi venticinque anni avemmo molto lavoro da fare.
Fin dai primi anni ci furono numerosi osservatori, in particolare quelli imbevuti di “culture alternative”, che misero in dubbio la scoperta avvenuta nel 1984 di Hiv come agente eziologico da parte dei ricercatori francesi, capeggiati da Luc Montagnier. Uno dei principali argomenti messi in campo dagli oppositori, sulla stregua di quanto affermato da Duesberg (che per altro ricordo ospite di una trasmissione di Costanzo dal teatro Parioli, mi pare nel 1989 o nel ’90), noto virologo statunitense e co-scopritore dei “retrovirus” alcuni anni prima, in collaborazione con R. Gallo, era rappresentato dal fatto che il virus in questione contravvenisse ai “Postulati di Koch”.
Questi benedetti postulati che identificano con ragionevole certezza che un determinato microrganismo è la causa di una certa malattia, dicono quanto segue: Il primo punto riguarda il fatto che il microrganismo deve essere presente in tutti i casi della malattia; il secondo che il microrganismo deve essere isolato e coltivato in coltura pura; il terzo punto dice che il microrganismo inoculato in modo idoneo in animale da esperimento, deve riprodurre in parte o in toto la malattia; in ultimo dall’animale inoculato deve essere possibile isolare nuovamente il microrganismo.
Circa il postulato numero 1, i “negazionisti” affermavano che il virus non fosse presente nel sangue. Innanzitutto Fauci ad inizio anni ’90 (ricordo con emozione la sua lezione magistrale al Congresso di Berlino) dimostrò che il virus è scarso nel sangue (comunque non del tutto assente nel sangue degli infetti) perché si trova nei linfonodi, dove il virus va distruggendo lentamente, ma progressivamente i linfociti CD4 succubi dell’infezione. E lì nei linfonodi ce n’è tantissimo. In seguito i successi della biologia molecolare attraverso la tecnica della PCR, hanno documentato la presenza di Hiv, determinandone anche la quantità presente nel sangue, indirizzando la scelta dei farmaci in base all’efficacia nella riduzione della carica.
Gli altri postulati sono stati poi negli anni anch’essi rispettati: per quanto riguarda il secondo, il virus è stato isolato e coltivato su linee cellulari. Nel 2009 è stato interamente decodificato l’Rna del genoma di Hiv. Quest’ultimo studio ha numerose implicazioni, sia per sviluppare nuovi farmaci sia “per comprendere”, sottolinea Weeks, il principale degli autori, “altri ruoli nel genoma dell’Rna che sono importanti per il ciclo di vita di questi virus”. Non solo: grazie alla decodifica, gli scienziati guidati da Weeks hanno cominciato anche a comprendere quali sono i “trucchi” che il genoma usa per permettere al virus a non essere individuato nel corpo umano. Già nel ’97 inoltre Hiv era stato inoculato e successivamente isolato nell’unico essere che risulta suscettibile all’infezione: lo scimpanzé.
Resta da domandarsi come si può essere ancora scettici di fronte a questa mole di argomenti e prove a favore dell’eziologia virale di Hiv. Ma tant’è, in rete sono ancora molto numerosi i siti negazionisti, che continuano nell’opera di tramandare notizie francamente sbagliate. Io credo che la domanda principale che ci dovremmo porre riguarda il senso e le modalità dell’informazione scientifica in generale e di quella sul web in particolare.