Secondo il rapporto di Amnesty International, in cima alla lista ci sono Cina e Iran, poi Arabia Saudita, Iraq, Corea del Nord, Somalia, Stati Uniti e Yemen. Il Medio Oriente è la regione dove si è registrato il più grave aumento delle condanne: il 50 per cento in più rispetto a un anno fa
“Il nostro messaggio ai leader di quella isolata minoranza è chiaro: non siete al passo col resto del mondo ed è tempo che prendiate iniziative per porre fine alla più crudele, disumana e degradante delle punizioni”, ha detto Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International, presentando il documento. Oltre ai già citati Cina e Iran, in cima alla lista, il poco onorabile elenco comprende Arabia Saudita, Iraq, Corea del Nord, Somalia, Stati Uniti, Yemen. Il Medio Oriente è la regione dove si è registrato il più grave aumento delle esecuzioni: il 50 per cento in più rispetto a un anno fa toccando quota 558.
In Iran sono stati giustiziati 360 detenuti, in maggioranza condannati per aver violato la nuova legge contro le droghe. In Arabia Saudita i numeri sono addirittura triplicati, 82 esecuzioni contro le 27 del 2010, mentre in Iraq i morti sono stati almeno 68. Morti che da soli spiegano perché a livello globale le sentenze eseguite siano 149 in più del 2010. Senza contare che le violenze in Libia, Siria e Yemen rendono difficile raccogliere informazioni precise su questi Paesi.
Nel braccio della morte sono rinchiusi 18,750 detenuti. Tra i Paesi che si impongono in modo negativo ci sono gli Stati Uniti. Nel 2011, per la prima volta in 19 anni, in Giappone non è stata eseguita alcuna condanna. Tokyo ha così lasciato agli Usa il solitario primato tra i membri del G8, con 43 condanne in 13 dei 34 Stati federali che ancora mantengono la pena capitale, ma in diminuzione rispetto a dieci anni fa. Su tutte spicca il caso di Troy Davis, giustiziato lo scorso settembre nonostante la campagna internazionale per salvarlo per le incongruenze nel processo che lo condannò a morte per l’omicidio del poliziotto Mark Allen MacPhail a Savannah, Georgia, nel 1989. Note positive arrivano invece dall’Illinois, diventato il 16esimo stato abolizionista e dall’Oregon che ha annunciato una moratoria.
In Europa è da segnalare invece il caso bielorusso. L’ultima dittatura del Vecchio Continente è anche l’unico Paese europeo dove ancora lo Stato non ferma la mano del boia. Le esecuzioni nel 2011 sono state due. Mentre appena due settimane fa il governo di Aleksandr Lukashenko ha respinto gli appelli alla clemenza per i due venticinquenni condannati per l’attentato alla metropolitana di Minsk lo scorso aprile che fece 15 morti. Decisione ancora più stridente dopo la decisione della Lettonia di diventare il 97esimo stato totalmente abolizionista. La vera incognita resta invece la Cina. Amnesty ha nuovamente esortato Pechino a diffondere dati ufficiali per verificare se, come sostiene il governo, il numero di esecuzioni, stimate nell’ordine delle migliaia, sia veramente in diminuzione. Recentemente la Cina ha abolito la pena capitale per 13 reati, in maggioranza di natura economica. Soltanto con dati certi, ha spiegato all’organizzazione il professor Zhang Qianfan dell’Università di Legge a Pechino, “sarà possibile aprire un dibattito sull’abolizione”.
Nell’anno appena trascorso, infine, ci sono stati segnali di ottimismo Le esecuzioni sono diminuite in Libano, in Tunisia e nell’Autorità palestinese. Mentre l’articolo 20 della nuova Costituzione marocchina sottolinea il diritto alla vita, ossia, ha spiegato al francese Le Figaro il costituzionalista Abdelatif Mennouni, presidente della commissione di riforma, “la fine delle esecuzioni”. Piccoli ma significativi progressi si sono avuti anche nell’area Sud-sahariana, con Sierra Leone e Nigeria che hanno confermato la sospensione di tutte le esecuzioni.
di Andrea Pira