Una contrazione continua del Pil che secondo le ultime stime dovrebbe far registrare un complessivo -1,5% alla fine del 2012; una disoccupazione costantemente al di sopra di ogni possibile livello di guardia (22,8% ma per i lavoratori più giovani si sale al 51, record europeo); tensione crescente sul mercato obbligazionario e mai sopita crisi dei settori immobiliare e bancario (che poi a ben vedere sono una cosa sola). E’ bastato il sovrapporsi degli ultimi dati macroeconomici e delle ultime dinamiche dei mercati finanziari per rilanciare negli ultimissimi giorni il segnale d’allarme sull’economia spagnola e, con esso, il codice di allerta sulla crisi europea. Mentre Mario Monti, da Seul, lancia segnali di ottimismo, dalla nazione iberica giungono messaggi di segno opposto. E non potrebbe essere altrimenti.
La bomba l’ha lanciata ieri sera El País citando in esclusiva fonti bene informate della Commissione Ue. L’Europa, si legge sulle colonne del principale quotidiano spagnolo, starebbe addirittura considerando l’ipotesi di aprire anche alla Spagna l’accesso alle risorse del fondo di sostegno continentale. Una notizia smentita dal commissario agli Affari monetari Olli Rehn ma che pure è considerata plausibile dalle fonti del giornale iberico. Lunedì, Angela Merkel avrebbe dato il via libera al raddoppio del fondo Salva-Stati (da 500 a 940 miliardi di euro) con l’obiettivo di creare un firewall credibile di fronte al dilagare della crisi debitoria. L’ipotesi, a questo punto, è che la Spagna acceda alle risorse per fare ciò che in questo momento appare più che mai necessario: una massiccia iniezione di capitale nel suo tormentato sistema bancario.
Le ipotesi sulle cifre, nota proprio El País, sono molto variabili. Il governo di Madrid ha parlato di 52 miliardi, gli osservatori della banca svizzera Ubs di una cifra pressoché doppia. Quel che si sa per certo è che gli istituti di credito hanno bisogno di soldi e non è difficile capire il perché. Gli effetti della bolla immobiliare si fanno sentire ancora, nel senso che il tasso d’insolvenza sui prestiti resta potenzialmente elevato e il calo del valore degli immobili rende sempre meno efficaci in termini contabili i pignoramenti stessi. Come a dire che gli asset in mano alle banche si deprezzano rendendo ancor più necessario l’aumento di capitale, imposto a sua volta dalla debolezza congenita del sistema bancario locale.
Per ovviare a quest’ultima, il governo di Mariano Rajoy ha proseguito nella strategia del precedente esecutivo cercando di accelerare i tempi. Gli istituti spagnoli hanno in pratica tempo fino alla fine dell’anno per completare i propri aumenti di capitale attraverso iniezioni di liquidità o pratiche di fusione e/o acquisizione. Il processo è ancora in corso, ma le insidie restano evidenti. Un po’, come si diceva, perché i dati macroeconomici fotografano un Paese in forte crisi, un po’ perché anche la strategia del quantitative easing europeo starebbe perdendo di efficacia. Le banche spagnole hanno fatto un massiccio ricorso al maxi prestito della Bce impegnandosi in parte a ricapitalizzare e in parte ad acquistare i titoli di Stato. Ovvero, hanno fatto ciò che veniva chiesto loro tanto dall’Eurotower quanto da Madrid. Il problema, però, è che nel corso dell’anno i titoli di Stato spagnoli sono andati incontro ad un progressivo deprezzamento di fronte all’aumento del rischio insolvenza del Paese. Con il risultato che anche questi asset illiquidi si sono progressivamente svalutati.
Questa mattina, i titoli decennali di Madrid rendevano il 5,33% contro il 3,99% dei quinquennali e il 2,38 dei biennali. In pratica, come si dice in questi casi, la curva starebbe diventando sempre più piatta tra medio e lungo periodo, un fenomeno non drammatico (nei casi più gravi sono i titoli a 5 anni a rendere tipicamente più degli altri) ma pur sempre preoccupante. Male anche lo spread con i decennali tedeschi che si piazza ora attorno ai 340 punti base rimarcando quella tendenza in atto negli ultimi tempi che ha visto un nuovo sorpasso di Madrid su Roma nella classifica di rischio sovrano. Un avanzamento su cui influiscono le pessime prospettivi sul contenimento del deficit che, a fronte di una rinnovata politica di austerity, dovrebbe calare dall’8,5% al 5,3%. Ben al di sopra, in ogni caso, dall’obiettivo ideale del 3% fissato per quest’anno dall’Unione Europea.