L’episodio della contestazione – o semioccupazione, se la si vuole chiamare così – della  iniziativa con Caselli al palazzo del Consiglio Comunale di Milano è stato almeno linguisticamente  attribuito ai No tav, ascritto alle vicende del conflitto valsusino, e ha provocato una nuova ondata di solidarietà col noto Procuratore. Come volevasi dimostrare, come già accaduto più volte in questi mesi, lo scontro diretto col Procuratore (dovuto, ndr, al fatto che le richieste di carcerazione preventiva nei confronti di vari manifestanti notav portano la sua firma) o comunque la personalizzazione della protesta contro quegli arresti è del tutto perdente per il movimento Notav.

Se si fa “inCASELLARE” il movimento scava la trincea di un suo isolamento minoritario.  Prima di tornare su questo concetto, chiariamo comunque le dimensioni della vicenda. Non stiamo parlando del risorgere del terrorismo in Italia anche se qualcuno – in malafede o in buonafede, e non si sa cosa sia peggio – lo ha ipotizzato. Non stiamo parlando di aggressioni  , e nemmeno, nel caso di Milano, di volti mascherati da sciarpe. Non siamo parlando  neanche di un petardo a Bonanni e  nemmeno di una torta in faccia.  Undici ragazzi, a mani nude e volto scoperto, come dovrebbe sempre essere, sono andati a rompere le scatole, come invece bisognerebbe fare solo in casi ben motivati, e hanno lasciato una certa ambiguità  interpretativa tra  il “non vogliamo far parlare” e il “vogliamo protestare mentre parla o almeno che ci facciano intervenire anche noi”.  Di questo stiamo parlando.

E infatti i contestatori, trascinati via dalla polizia, sono stati denunciati, anzi per ora segnalati, solo per “manifestazione non autorizzata”.

Chi ha preso questa iniziativa sapeva però benissimo che i meccanismi mediatici più o meno universali  e le nevrosi politiche italiane  e l’elemento Caselli  avrebbero dato un rilievo eccezionale alla contestazione. In particolare avrebbero oscurato, così come puntualmente è accaduto, la conferenza stampa tenuta dai  Notav  ( notav doc!) a Torino in cui hanno sono state presentate  varie testimonianze sulle violenze poliziesche del 3 luglio scorso a Chiomonte.  Violenze poliziesche che, secondo chi ha tenuto la conferenza stampa, la Procura di Torino non avrebbe ritenuto degne di indagine.

Due pesi e due misure?  Rischiamo di non saperlo mai, perchè appena ci si avvicina alla sfera “Caselli” scattano allarmi ed allarmismi.  A mio parere, se si vogliono contestare  gli arresti, i prolungamenti della detenzione preventiva, la indifferenza nei confronti delle violenze poliziesche, Caselli non lo si dovrebbe neanche nominare e si dovrebbe stare testardamente e caparbiamente sul merito delle questioni.  Se si presenta all’opinione pubblica l’opzione di scegliere se stare con Caselli o con i Notav, non c’è partita. Finisce che ci obbligano a fare il Tav per dimostrare che stiamo con l’antimafia (il contrario del rozzo, troppo rozzo, slogan Tav=mafia).

Il punto però è che il tema Tav in quanto tale è importantissimo e strategico a prescindere da qualunque implicazione  -da qualunque parte – sull’ordine pubblico e la libertà d’espressione. Così come i temi di Genova 2001   erano -e sarebbero tuttora- nuovi e strategici a prescindere da qualunque vicenda di pestaggi polizieschi e di devastazioni black block.  E’ deludente che la Milano arancione, la Milano dell’expo, la Milano dell’area C, la Milano capitale, insomma al di là delle battute, è deludente che una città come Milano non abbia finora dato nessun significativo contributo alla discussione e al conflitto sulle grandi opere e le priorità infrastrutturali.  Eppure per nobilitare il progetto tav Torino Lione, Mario Monti  ha tirato in ballo (in modo mendace, ma questo lo vedremo a parte)  proprio i tempi tra Milano e Parigi. Eppure risiedono a Milano molti dei pochi seri trasportisti italiani. Eppure Milano dovrebbe essere più che mai un luogo di revisione e discussione delle politiche economiche. Non un posto dove si usa la sigla Notav a capocchia, per confermarsi antagonisti o legalitari.

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