Rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale e il 28 per cento dell’economia globale. E sono soltanto in cinque. I capi di Stato e di governo delle potenze emergenti riuniti a New Delhi lo hanno rimarcato nel comunicato finale del quarto vertice dei Brics, acronimo per indicare Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Per questo il gruppo punta ad avere maggiore voce in capitolo sulle questioni internazionali, a cominciare dalla gestione delle grandi istituzioni mondiali, dalle Nazioni Unite alla Banca mondiale di cui, hanno chiesto, deve essere accelerata la riforma.
La foto del vertice mostra la brasiliana Dilma Rousseff, il russo Dmitri Medvedev, il padrone di casa, Manmohan Singh, il presidente sudafricano Jacob Zuma e il suo omologo cinese Hu Jintao, mano nella mano a braccia alzate. Sorridono nonostante le polemiche per la repressione e gli oltre 300 arresti preventivi nella comunità tibetana in esilio che avrebbe voluto contestare la presenza del capo di Stato cinese e ricordare il manifestante morto dopo essersi dato fuoco per protesta contro l’occupazione del Tibet. I cinque non hanno perso l’occasione di esprime la loro preoccupazione per l’attuale situazione economica e per l’instabilità dei mercati, soprattutto nell’Eurozona. Specialmente, si legge nella Dichiarazione di Delhi, considerando che proprio le loro economie “si sono riprese abbastanza velocemente dalla crisi”. Le perplessità, continua il documento, riguardano l’eccessiva liquidità dovuta alle politiche aggressive delle Banche centrali per stabilizzare le proprie economie. Liquidità che però si è riversata sui mercati dei Paesi emergenti, causando volatilità nel flusso dei capitali e nel prezzo delle materie prime.
Come ha spiegato Rousseff, i Brics “sono stati negli ultimi anni il motore dell’economia mondiale”. Tra le iniziative allo studio per far sentire il loro peso c’è l’istituzione di una banca congiunta per lo sviluppo per finanziare infrastrutture e progetti nelle nazioni emergenti. In futuro, l’istituto potrebbe fungere anche come veicolo di prestiti in caso di nuove crisi finanziare e usando le monete nazionali potrebbe contribuire alla sostituzione del dollaro come valuta internazionale. Il termine Bric, senza la “s” di Sudafrica aggiunta più tardi, fu coniato un decennio fa dall’analista di Goldman Sachs, Jim O’Neill. Entrato nell’undicesimo anno di vita, il gruppo cerca ora di sostituire quella che il Times of India ha definito “l’egemonia occidentale delle istituzioni di Bretton Woods”. O come ha sottolineato Hu Jintao, vuole essere considerato il paladino dei Paesi in via di sviluppo, sebbene, in nome del multilateralismo, ritenga il G20 l’organismo più adatto a discutere di cooperazione internazionale.
Nel documento finale del vertice si parla di riforma su basi “meritocratiche” del sistema di selezione dei vertici delle istituzioni finanziarie internazionali. Ma proprio su questo punto, ha scritto il Financial Times, le cinque potenze hanno perso un’occasione. Secondo il quotidiano londinese, divergenze diplomatiche e la paura di intaccare i propri interessi hanno impedito ai Brics di appoggiare un candidato comune alla presidenza della Banca Mondiale. La candidata ci sarebbe già, il ministro delle Finanze nigeriano, Okonjo-Iweala, espressione degli emergenti. Ma senza un sostegno netto sembrerebbe scontata la vittoria del candidato statunitense Jim Yong Kim, che confermerebbe la tradizione che vuole la presidenza dell’istituto assegnata a Washington. “Nonostante i progressi fatti all’interno delle istituzioni finanziarie c’è ancora poco spazio di movimento per quanto riguarda la politica”, ha invece commentato Manmohan Singh, in riferimento alla riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Dei Paesi Brics Cina e Russia sono membri permanenti con diritto di veto e gli altri tre puntano a diventarlo, ma come per la candidatura alla Banca Mondiale, divergenze e rivalità, anche storiche, nelle possibili sfere di influenza regionali fanno da freno. I Brics non hanno rinunciato però a parlare di politica con una sola voce. “Non si può trasformare la situazione iraniana in un conflitto le cui conseguenze non sono nell’interesse di nessuno”, scrivono i cinque paventando il rischio di un attacco contro Teheran, cui riconoscono il diritto a sfruttare l’energia nucleare a fini civili. Sulla Siria invocano invece un dialogo nazionale e una soluzione che ne rispetti l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale.
di Andrea Pira