Lo storico che lanciò i Girotondi: "Va fatto qualcosa per rompere con la forma novecentesca del partito. Bisogna aprire il potere a soggetti nuovi. Il Palazzo non è la politica". L'iniziativa è partita da Lucarelli, assessore della giunta De Magistris, e hanno aderito tra gli altri anche Rodotà, Revelli e Mattei
Professore, si butta in politica?
Non proprio. Ma va fatto, e subito, qualcosa per rompere con la forma novecentesca del partito. Bisogna aprire il potere a soggetti nuovi. Il Palazzo non è la politica.
Risponda all’accusa più facile: sobillate l’anti-politica?
Ma questa è , squisitamente, politica. È il palazzo a non rappresentare più nessuno.
Come hanno potuto i partiti arrivare al gradimento del 4 per cento?
L’idea dell’amico-nemico è stata molto nociva. O con me o contro di me non funziona, perché così la politica si riduce a competizione tra gruppi.
È la morte della democrazia rappresentativa?
No, fino ad oggi è l’unico sistema che garantisce il voto segreto a tutti gli adulti di una nazione. Ma non basta, è assolutamente necessario affiancare delle strutture di democrazia partecipativa.
Finite le ideologie, sono finite anche le idee: la gente non si riconosce più nei partiti. D’accordo?
Sì. Del Pci, per esempio, si può dire tutto, non che al suo interno mancasse una vita intellettuale. E questo è andato completamente perduto. I partiti si sono smarriti, inseguendo i favori, le clientele, le parentele.
La corruzione dilagante fa crescere la sfiducia nei partiti?
Lo scandalo della Margherita fa un grande effetto sulla gente. Soprattutto in un momento di estrema difficoltà economica. Le persone si sentono defraudate, altro che rappresentate. Ed è gravissimo. Il livello di fiducia nei partiti è molto basso in tutta Europa: in nessun luogo però è così drammatico come in Italia.
Voi dite: troppo potere concentrato a Roma.
Il nostro documento nasce a Napoli e ha visto la partecipazione di un gruppo a Firenze e uno a Torino. Non volevamo escludere i romani: ma è necessario affermare che il potere deve circolare e connettere i territori con la democrazia. Il movimento in Val di Susa ha provato a fare questo.
Perché questa vostra proposta dovrebbe essere diversa dai girotondi, dai tanti movimenti che non hanno avuto la forza di incidere sulla politica?
Sono state tutte importanti iniziative, ma alla fine delegavano l’azione politica ai partiti. Abbiamo supplicato i partiti di cambiare, di autoriformarsi. Più di una volta mi sono trovato con D’Alema, per esempio, a un dibattito pubblico e gli ho mosso queste critiche…
E lui?
Annuiva, ma non era d’accordo.
Hanno cambiato nome un’infinità di volte.
Ma cambiare nome non vuol dire cambiare le dinamiche interne al partito.
I politici sono o sembrano inconsapevoli? L’impressione è che il popolo che rappresentano li disprezzi.
Quando vanno a Otto e mezzo sono imperturbabili. Ma se tu parli con loro in privato sono angosciati. Non tutti, ma tanti. Quelli più lungimiranti sanno che se andiamo avanti così, vincerà la destra populista. La storia insegna che dalle grandi depressioni economiche non si esce a sinistra. Ma a destra o con la guerra. Non c’è più tempo.
C’è un problema di persone, di mancato ricambio all’interno dei partiti?
Non ho nessun dubbio sul fatto che ci sia un problema di persone. Ma è anche un fattore generazionale. Abbiamo bisogno di una nuova generazione di ‘contestatori civili’.
Il governo tecnico ha dato il colpo di grazia alla politica nella percezione dei cittadini?
Non credo. Sono molto grato a Monti e agli altri ministri perché sono arrivati dopo i terribili anni di Berlusconi. Però non condivido il loro programma: non è sensato in termini di equità sociale. Le disuguaglianze non sono mai state così grandi nella storia della Repubblica. Nella primavera del 2013 andremo a votare: mi auguro che dentro quella competizione ci sia una forza radicalmente nuova.
Il vostro documento è molto bello. E altrettanto utopico.
Lo vuol essere. Perché bisogna farsi una domanda: dove ci ha portato il realismo?
Cosa proponete?
Una discussione più diffusa possibile sul territorio partendo da questo manifesto. Dove non compare né la parola destra né la parola sinistra. Nasce da un gruppo di sinistra, ma le idee che esponiamo non hanno etichetta, sono un bene comune. Noi speriamo che possa nascere una struttura che abbia come base queste idee: sarebbe positiva la presenza alle amministrative di liste di cittadinanza politica che prendano a riferimento e contribuiscano a costruire questo progetto nazionale.
Quali sono le regole base?
Un limite di mandato: al massimo due legislature per i parlamentari. E poi: trasparenza non segretezza sui finanziamenti. Basta clientele. Ancora: semplicità non burocrazia, potere distribuito non accentrato, rotazione degli incarichi direttivi. Si può fare politica come contributo civile per qualche anno e poi tornare ad altro: la politica non è un vitalizio e i partiti non sono enti previdenziali.
Da Il Fatto Quotidiano del 29 marzo 2012