Per l’ambientalismo italiano la data del 3 giugno prossimo ha un carattere fatidico. Potrebbe essere la prima volta che in una regione italiana, il Piemonte, viene, di fatto, abolita la caccia.
Infatti, se passasse il sì ai quesiti referendari, rimarrebbero solo quattro specie cacciabili (peraltro immesse abitualmente a scopi venatori), e cioè il cinghiale, il fagiano, la lepre e la minilepre; non si potrebbe più cacciare su terreni innevati; non si potrebbe più cacciare la domenica; ed altro ancora.
Ma il problema non riguarda tanto “se vincono i sì”, quanto “se la gente va a votare”. In Italia (ed il Piemonte non fa eccezione), la percentuale dei votanti contrari alla caccia è schiacciante: circa l’83%. Ma le due tornate referendarie nazionali precedenti riguardanti l’attività venatoria non videro il raggiungimento del quorum (nel 1990 il 43,4%, nel 1997 appena il 30,2), anche se ì sì ebbero percentuali bulgare.
Posto che però la percentuale di coloro che non vanno a votare non è determinata tanto dalla pigrizia o dalla giornata al mare, quanto dal fatto che non hanno nemmeno notizia del referendum, in quanto i partiti in generale non fanno pubblicità al riguardo e gli elettori non ricevono alcuna comunicazione, diciamo che c’è da essere moderatamente ottimisti oggi, in quanto, rispetto agli anni novanta dello scorso secolo, c’è uno strumento formidabile in più: internet. Lo stesso che sto usando io in questo momento.
La conferma la si è avuta con i referendum su acqua e nucleare, e speriamo tanto che la storia si ripeta.
Un sintomo del fatto che il mondo politico tema molto che oggi si raggiunga il quorum e vinca la democrazia dal basso è del resto testimoniato sia dalla dichiarazione video molto preoccupata a suo tempo rilasciata dal governatore Cota, sia da altre più recenti. Su tutte, singolare quella del consigliere regionale Gianluca Vignale (già Fronte della Gioventù, poi Alleanza nazionale, ed ora Popolo delle Libertà), il quale ha testualmente affermato: “è giusto che si sappia che se passasse il referendum, le riduzioni alla pratica venatoria causerebbero un aumento ai danni da nocivi agli agricoltori e ai sinistri automobilistici per tutti i cittadini automobilisti.”
Allora, secondo il politico di turno, la caccia avrebbe uno scopo sociale: eviterebbe danni alle colture ed eviterebbe collisioni di auto con animali selvatici. Da notare che Vignale è lo stesso che propose nel 2010 un emendamento (purtroppo passato) che prevede che i Comuni e le Province lascino libero accesso sulle proprie strade (altrimenti vietate) ai cacciatori, giustificandolo in tal modo: “E’ evidente che permettere la caccia in territori non raggiungibili se non a piedi è come porre un divieto di caccia. E’ come se non si permettesse ad un dottore di raggiungere l’ospedale.”
Insomma, questi cacciatori sarebbero dei veri e propri benefattori per l’ambiente e per la collettività, addirittura paragonabili ai medici.
L’83% degli italiani questa cosa evidentemente non l’ha capita.