Così Adam Duritz giustifica la scelta: “Ci piace molto interpretare le canzoni di altri, ma dando una nostra versione. È un procedimento che è molto simile a quando rivisitiamo le nostre stesse canzoni in chiave acustica. Ci divertiamo molto a farlo. È una cosa che ci è sempre piaciuta e che non avevamo mai fatto. Ci hanno sempre detto che non fosse una buona idea, ma noi abbiamo voluto farlo ugualmente – dichiara Duritz – Non vedo il perché si debba essere fedeli agli originali. In fondo, uno dei motivi per cui uno vuole registrare una cover è perché ha un’idea precisa di come voglia interpretarla. Stavo lavorando a una sceneggiatura lo scorso anno, non avevo molto tempo, ma volevo registrare con la band, così ho pensato che questi fossero i tempi adatti per farlo”.
Il disco esce con un’etichetta indipendente, la Collective Sounds, dopo che nel 2009 i Counting Crows hanno abbandonato la loro storica casa discografica, la Geffen Records. Le motivazioni di tale decisione vennero spiegate all’epoca direttamente dalla band: “Abbiamo la volontà di cercare nuove strade per la diffusione della nostra musica, siamo stanchi di vivere in un panorama come quello odierno che è fortemente influenzato da Internet come mezzo di comunicazione”. Adesso questo nuovo capitolo per la band californiana, divenuta celebre immediatamente dopo l’uscita del loro primo album August and Everything After spinto dalla stupenda Mr Jones. Quello sì che era un album in grado di mettere in vetrina un rock armonico eseguito alla perfezione, impreziosito dalle virtuose acrobazie vocali del cantante. Quelle contenute in Underwater Sunshine invece “Sono canzoni che provengono da gruppi giovani e vecchi, si va dall’inizio anni Sessanta fino all’anno passato. Sono tutti dei bei pezzi, e così adesso si spera che saranno ascoltati da più gente”, ha dichiarato il cantante Adam Duritz. Come dire, i tempi stanno cambiando, e lo fanno guardandosi indietro. Cerchiamo almeno di ripartire dalla buona musica. Così facendo al disco si darebbe un valore didattico. E non sarebbe una cosa cattiva. Ma, probabilmente, si tratta di istantanee che vanno a pescare in un mare magnum che è l’inconscio collettivo, più che esercizi da considerare come strumenti educativi.
Questa la tracklist:
Untiteld Love Song di Luke MacMaster
Start Again di Norman Blake
Hospital di Coby Brown
Mercy di Kurt Stevenson & Patrick Winningham
Meet on the Ledge di Richard Thompson
Like Teenage Gravity di Casey Anderson
Amie di Craig Fuller
Coming around di Fran Healy
Ooh La La di Ronnie Lay & Ron Wood
All My Failures di Taylor Goldsmith
Return of the Grievons Angel di Graham Parsons
Four White Stallions di Dan Vikrey
Jumping Jesus di Tom Barnes & Jim Gordon
You Ain’t Goin’ Nowhere di Bob Dylan
Ballad of El Goodo di Alex Chilton & Chris Bell