Un personaggio che sembra uscito da una sceneggiatura cinematografica, tant’è che di film gliene hanno dedicati due. Uno in Italia (Svegliati e uccidi di Carlo Lizzani, con Gian Maria Volontè), l’altro in Francia (Lo zingaro con Alain Delon), sue patrie detentive.
Luciano Lutring, bandito romantico, amante delle belle donne e della bella vita, le banche svaligiate con un mazzo di fiori a nascondere le armi per non spaventare le signore, i festeggiamenti a base di champagne ed aragoste da Chez Maxim, il vezzo del mitra tenuto nella custodia del violino che gli valse il soprannome di “solista del mitra”. Una figura leggendaria di bandito gentiluomo, guascone milanese e donnaiolo, che nell’Italia e nella Francia degli anni Sessanta collezionò centinaia di rapine per un bottino totale di trenta miliardi di lire, fino alla grazia concessa dai Presidenti Pompidou e Leone che gli diede l’occasione di una nuova vita, oggi vissuta da pittore e scrittore. Figura di inevitabile fascinazione, cui lo scrittore parmense Andrea Villani ha dedicato il libro “Luciano Lutring. La vera storia del solista del mitra” edito da Mursia. Non una biografia, ci tiene a precisare Villani, ma un romanzo, in piena aderenza alla poetica dell’invenzione del vero del conterraneo Giovannino Guareschi, su un personaggio che è, nelle parole di Villani, “un corso vivente di scrittura creativa”.
Quando e come hai cominciato ad appassionarti alla figura di Lutring?
Conoscevo più o meno la sua storia e mi aveva affascinato il fatto di un criminale che diventa un artista. Capitò che fossi contattato dalla sua casa editrice, che mi chiese di scrivere un racconto per una collana di corti thriller. Io risposi di sì, a patto che mi lasciassero scrivere di Lutring. Quando il racconto uscì ricevetti una sua chiamata. “Ti sé Andrea Vilani?”, mi chiese con la sua voce potente da milanesotto. Mi disse che aveva letto il mio racconto, che gli era piaciuto e voleva incontrarmi nella sua casa sul lago Maggiore. Pranzammo in un ristorante e si fece portare il conto, poi chiamò l’oste per parlargli. “Anche lei nel campo della ristorazione?” fece quello. E lui:“No, però ho rubato anch’io per vent’anni come te”. Insomma, un meraviglioso cabarettista. Nel pomeriggio mi raccontò il suo passato, guardandomi in faccia, lasciando trasparire il paradosso di una tenerezza infinita nel cuore di un uomo che per anni era stato considerato pericolo pubblico numero uno in Italia e in Francia. Poi sono arrivato al nodo finale, perchè mi serviva -ad ogni romanzo serve- l’ elemento letterario attorno al quale tutto gira. Lutring ha vissuto il dramma devastante della morte del figlio, folgorato a otto anni da un cavo dell’alta tensione. I suoi avvocati, seppellito il bambino, gli consigliarono di far causa allo stato. Lui rispose che così come lo Stato lo aveva perdonato, lui avrebbe perdonato lo Stato.
L’iconografia perfetta del bandito gentiluomo insomma…
Diciamo che mi sono trovato di fronte ad un criminale che ti insegna il senso dello stato. Lutring è una figura della ligera degli anni cinquanta, è della schiera dei banditi Robin Hood: assaltava le banche e bruciava le cambiali, il bancone era la linea di demarcazione, le rapine potevano essere solo fatte al di là di quel confine perchè le banche sono assicurate, così come i gioiellieri che, rapinati, dichiaravano che il bottino sottratto era tre volte di più, tant’è che un gioielliere di Milano finì in galera per truffa all’assicurazione. E i soldi delle rapine li scialava nei night con le ballerine, nei ristoranti, con regali costosi, in qualche modo rimetteva subito in circolo la ricchezza.
Qualche preoccupazione riguardo alle polemiche che potrebbero nascere data l’evidente riabilitazione del personaggio? Penso a Elio Germano attaccato per la sua interpretazione di Felice Maniero (nella miniserie di Sky Faccia d’angelo) o al Vallanzasca di Michele Placido. Cinema o letteratura che sia, quando si pesca in quegli anni si corre il rischio di essere accusati di rendere affascinante il male.
Credo che sia doveroso fare delle distinzioni. Lutring è l’anti-Vallanzasca, intanto per ragioni anagrafiche: stiamo parlando della differenza tra gli anni settanta e cinquanta, tra gli anni di piombo e il fischio nel vento della beat generation che arrivava dai vecchi anarchici dadaisti capitanati dal maestro Henry Miller. E se Cimino e Cavallero sparavano nella folla e addosso ai carabinieri, Lutring non ha mai sparato a nessuno. Anche oggi Lutring è un uomo d’amore. Insomma le polemiche su Vallanzasca e Maniero possono essere anche, in qualche modo, giustificate, ma Lutring? Vogliamo parlare delle banche? Io il mio libro lo presenterò il 25 aprile, perché dal mio punto di vista è un eroe della Resistenza al sistema capitalistico incarnato dal sistema bancario.
Banche, finanza, redistribuzione della ricchezza. Un libro politico…
In verità, sono piuttosto distante dalle questioni politiche. Non mi piace Berlusconi perchè ha reso impossibile essere di destra, ridicolizzandola. Se ci fosse una bella destra mi divertirei a polemizzare con gli intellettuali di sinistra che hanno ormai questa sicumera della propria ragione che mi fa tenerezza. Oppure sarebbe un ottimo vezzo essere monarchico ma, ahimè,abbiamo la famiglia monarchica più impresentabile del mondo e non posso nemmeno togliermi questo sfizio. La verità è che in questo paese non puoi permetterti il lusso di schierarti da alcuna parte (ride, n.d.r.)