La storia giudiziaria del deputato Pdl, indagato per corruzione a Brindisi (e poi archiviato), scatena la reazione di 35 parlamentari pidiellini, che hanno scritto al ministro della Giustizia, riaccendendo il dibattito sul divieto di divulgare intercettazioni. E il diretto interessato rincara la dose: "Vanno puniti i magistrati"
“No, guardi. Io non ce l’ho con i giornalisti, che pure hanno levato gli scudi in questi giorni perché sono una corporazione, al pari dei magistrati. Io ce l’ho con il pm, che ha dato in pasto alla stampa quelle intercettazioni, facendomi passare per uno sporcaccione. Uno scivolone inaudito, prima, e un reato penale, poi, perché sono stati divulgati documenti coperti dal segreto istruttorio. Qui, con la scusa del bavaglio sì, bavaglio no, si sputtanano persone che vivono di trasparenza. E in questo momento di antipolitica è deleterio”. E’ arrabbiato Luigi Vitali, deputato del Pdl e segretario del partito in provincia di Brindisi. Da quando i giornali hanno diffuso la notizia della richiesta di archiviazione di un’indagine preliminare che lo vede accusato di corruzione, non ha più pace.
Assunzioni in cambio di una sponsorizzazione nella costruzione di un carcere in Calabria. Questa l’ipotesi di reato avanzata dalla procura brindisina e da verificare, riattivando lo strumento delle intercettazioni. Però, “Vitali gode della garanzia stabilita dall’articolo 68 della Costituzione – ha motivato il pm Milto De Nozza – e laddove questo ufficio avesse ritenuto indispensabile monitorarlo, avrebbe dovuto attendere che la Camera dei deputati concedesse la relativa autorizzazione. Ma se le attività di intercettazione sono, per natura propria, atti a sorpresa, appare evidente come non possa esserci alcuna utilità investigativa nell’attivare un simile mezzo di ricerca della prova”.
Apriti cielo. I virgolettati riportati dalla stampa sono finiti al centro di un’interrogazione diretta al ministro della Giustizia Paola Severino e firmata da un qualcosa come trentacinque parlamentari del Pdl (tra i quali Romani e Paniz). “Da giorni – scrivono – il collega Vitali è vittima di una violentissima campagna di stampa diffamatoria”. Pertanto, chiedono di “spiegare come sia possibile che terzi, estranei alle indagini, come i giornalisti, possono ottenere, senza averne diritto, copie di atti il cui contenuto non può essere divulgato, e avviare ancora una volta la ormai nota macchina del fango, per fini scandalistici o politico-elettorali”.
Insomma, che la notizia pubblicata fosse vera, verificata e di indiscutibile interesse pubblico, trattandosi di un parlamentare, sembra essere solo un dettaglio. E il caso Vitali solo lo spunto per tornare a insistere sui limiti nell’uso delle intercettazioni, tema sempre caro al Pdl. La prima reazione è arrivata dal comitato di redazione del Nuovo Quotidiano di Puglia, sulle cui edizioni il deputato ha pure replicato per giorni con “titoli a sei colonne”.”Dunque, riferire di fasi giudiziarie concluse, secondo gli onorevoli parlamentari che hanno sottoscritto l’interrogazione, non è una prerogativa del diritto-dovere di cronaca, ma meccanicamente una ‘violentissima campagna di stampa diffamatoria’ – è scritto nella nota del cdr – Dunque, riportare una richiesta di archiviazione su un’indagine per corruzione che investe un parlamentare si trasforma in un’azione di gruppo per esercitare, ttraverso il dicastero, una pressione sui giornalisti che, a leggere i firmatari dell’interpellanza-interrogazione, non avrebbero diritto a conoscere e quindi a informare. Inutile dire che non ci faremo né intimidire né impressionare”.
Che la questione sia il pretesto per tornare a far battere la lingua dove il dente duole non ci vuole molto a capirlo. “Ricorderò al ministro Severino la mia idea, insisterò per portarla avanti”. Il chiaro riferimento di Vitali è alla proposta di legge depositata il 28 ottobre 2010, nel pieno dello scandalo Ruby, sull’introduzione del reato di “ingiusta intercettazione“, una punizione ai magistrati “incompetenti” che autorizzano ascolti, ma anche “indennizzi” da 100mila euro, da far pagare ai pm, per indagati e imputati intercettati e poi prosciolti o per i testimoni estranei ai fatti, le cui conversazioni vengono “sbattute sui giornali”. Deve essere questo per Vitali, tra l’altro ex sottosegretario alla Giustizia, il nuovo illecito disciplinare da contenere nell’articolo 315-bis del codice di procedura penale, quello sulla “riparazione per ingiusta intercettazione di comunicazioni telefoniche o di conversazioni”, che dovrebbe prevedere anche una norma con disposizioni retroattive che estendano il risarcimento a chi è stato coinvolto in indagini fino a 5 anni prima.
Una proposta che andrebbe a completare il quadro già contorto della legge Bavaglio. Quando a ottobre il ddl è arrivato in Aula, ad essere approvata è stata la norma che vieta la divulgazione delle intercettazioni, anche di quelle trascritte nelle ordinanze di custodia cautelare notificate alle parti e anche in forma di riassunto, fino all’udienza filtro, quella cioè in cui pm, gip e avvocati discutono ogni singola registrazione. L’emendamento, presentato dal capogruppo del Pdl in Commissione Giustizia, Enrico Costa, è quello che ha portato alle dimissioni della relatrice Giulia Bongiorno. Erano gli stessi giorni in cui un altro deputato pidiellino, Maurizio Paniz, ha rilanciato il comma sui giornalisti, da punire con il carcere “da 15 giorni a un anno, a seconda della violazione”.