Si ritiene che lo scrittore francese Giulio Verne, lampante espressione dell’ottimismo positivistico ottocentesco, sia stato il più grande e profetico visionario dell’evoluzione tecnologica dei tempi a venire: viaggi sulla luna, sommergibili atomici… Un campionario futuribile che si è puntualmente avverato.

Ora – magari per amore di patria e campanile – mi trovo a pensare che il mio conterraneo Vilfredo Pareto risulti il suo esatto corrispondente riguardo alle attuali mutazioni nel discorso pubblico. Infatti lo studioso di origine ligure già nel 1923 prefigurava (Trattato di Sociologia Generale, volume III) il meccanismo argomentativo per cui “sentimenti, preconcetti e superstizioni”, ossia le ragioni vere di ogni presa di posizione (lui le chiamava “residui”), vengono impacchettati in ragionamenti a loro giustificazione; pur dicendo apparentemente tutt’altro: “le derivazioni”, nel lessico paretiano.

Questo avviene per il semplice motivo che certi obiettivi non conviene assolutamente confessarli; e – quindi – vanno camuffati. A tale riguardo, particolarmente lungimirante è l’esempio proposto dal sociologo del secolo scorso quando parla di «certi politicanti» in cui prevale «il desiderio di conseguire il favore di alcuni delinquenti [visto] che sono ottimi agenti elettorali». Una profezia che evidenzia livelli di visionarietà in campo politico (basta ricordare alcune recentissime sentenze palermitane…) almeno pari a quella di Verne nell’ambito scientifico.

Con un di più altrettanto illuminante: queste “derivazioni” si rivelano argomentazioni spesso poco logiche e non di rado ridicole. Di certo – nel suo presagio del futuro – Pareto vaticinava l’avvento della Seconda Repubblica italiana, in cui salti logici spericolati hanno assunto la forma di balle mostruose: dallo stalliere Mangano “eroe”, fino alla Ruby “parente di qualche premier”. Tanto da diventare il tratto fondamentale che si ripropone anche nei cambi al vertice di governo; perfino nella transizione dalla smodatezza alla sobrietà. Da Silvio Berlusconi ai professori di Mario Monti.

Le balle continuano sempre a volteggiare vorticosamente. Si tratti tanto del mix sentimento-preconcetto-superstizione che solo disarmando il lavoro si compiacerà il Grande Capitale come di quello che solo la collusione “inciucista” salverà un ceto politico inguardabile (quanto ritenuto insostituibile) dall’estinzione, sempre i salti logici (da ridere) si sprecano: facilitiamo i licenziamenti per favorire la crescita dell’occupazione… perseguiamo l’accordo tra le maggiori forze politiche per garantire la stabilità… Non dimenticando le altre balle blu sul Tav a favore della competitività (sì, tra tre lustri; quando eventualmente sarebbe a regime) per arrivare a quella suprema dei “tecnici super partes che non fanno politica”. I cui “residui” potrebbero essere gli appalti a prezzi gonfiati in Val di Susa nel primo caso, storici legami interpersonali con il Potere (bancario o meno) nell’altro.

Pareto l’aveva intuito: grazie alla dinamica residui/derivazioni spinta oltre ogni soglia di decenza, la politica ci avrebbe trasformato nel Paese della menzogna. Tanto che molti ora vorrebbero trovare salvezza nella fuga. Magari alla Verne: raggiungendo l’isola misteriosa su un pallone aerostatico.

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