Cronaca

Caso Orlandi: “In Vaticano sanno la verità” Indagati 3 membri della banda della Magliana

La Procura di Roma verso la chiusura dell'indagine: "Sono emersi segmenti di verità giudiziaria". Ma gli indizi potrebbero non essere sufficienti a sostenere un processo. Per i magistrati "ci sarebbero personaggi ancora in vita che conoscono i misteri legati alla scomparsa della ragazza". Ma non servirà riaprire la tomba

Una manifestazione per chiedere la verità su Emanuela Orlandi davanti a San Pietro

Sulla scomparsa di Emanuela Orlandi c’è chi sa: si trova all’interno dello Stato della Città del Vaticano. Ne sono convinti i magistrati della Procura di Roma che stanno indagando sulla sparizione della figlia di una dipendente della Santa Sede, avvenuta nel giugno del 1983, quando la ragazzina aveva 15 anni. All’interno delle Mura Leonine, secondo chi indaga, ci sarebbero insomma personaggi ancora in vita che conoscono i misteri legati alla scomparsa della Orlandi.

Gli indagati. Per gli inquirenti è certo che nella vicenda ebbero un ruolo alcuni esponenti della banda della Magliana forse già nel rapimento della ragazza, ma più probabilmente nelle fasi successive. Nell’inchiesta risultano indagati Sergio Virtù, Angelo Cassani, detto “Ciletto”, Gianfranco Cerboni, detto “Gigetto”: tutti soggetti che hanno fatto parte della banda attiva a Roma tra gli anni Settanta e Ottanta. Gli indagati sono stati individuati sulla base di una serie di riscontri oltre che dalle dichiarazioni di pentiti della banda. A dare impulso alle indagini furono alcune dichiarazioni fatte da Sabrina Minardi, ex compagna di Enrico “Renatino” De Pedis (dopo essere stata moglie del calciatore Bruno Giordano), finita anch’essa sotto inchiesta alla luce di affermazioni apparse contraddittorie.

Verso la chiusura delle indagini. La procura di Roma fra qualche mese tirerà le somme e deciderà se chiudere gli accertamenti con una richiesta di archiviazione per tutti gli indagati o se depositare gli atti, passo che anticiperà la richiesta di rinvio a giudizio. Al momento è difficile fare previsioni, ma le indagini hanno portato alla luce “alcuni segmenti di verità giudiziaria”, a livello ancora indiziario, insufficienti tuttavia per sostenere un’accusa in dibattimento. Si era sperato molto nelle dichiarazioni confessorie della Minardi. Ma le sue affermazioni, come detto, nel tempo si sono rivelate contraddittorie, fumose, benché suggestive.

“Riaprire la tomba non serve”. I magistrati peraltro non avrebbero alcuna intenzione di aprire la tomba dov’è seppellito De Pedis, il boss della banda. Il corpo di “Renatino” è sepolto all’interno della basilica di Sant’Apollinare. Su questa circostanza si erano riaccese nei giorni scorsi alcune polemiche poiché Walter Veltroni aveva chiesto chiarimenti al ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri ed era spuntato una sorta di giallo: il ministero aveva risposto in un primo momento che Sant’Apollinare è territorio del Vaticano perché rientra nei Patti Lateranensi, salvo poi correggere il tiro. E peraltro i magistrati romani sostengono di aver già chiarito che la basilica si trova in territorio italiano e la giurisdizione della magistratura arriva anche lì, tanto che due anni fa fu svolto – senza bisogno di rogatorie o autorizzazioni – un sopralluogo nella cripta. Una verifica del luogo effettuata dal procuratore aggiunto, Giancarlo Capaldo, e svolto dopo l’audizione, come persona informata sui fatti, di Pedro Huidobro, attuale rettore della basilica. Al sopralluogo parteciparono sia Huidobro sia monsignor Pietro Vergari (rettore fino al 1991).

Per questo, secondo la Procura, non sussiste più la necessità di aprire la tomba perché è inverosimile che al suo interno vi possano trovare resti di altre persone oltre a quelli di De Pedis, considerando anche che questi è morto 7 anni dopo la scomparsa della Orlandi: fu ucciso il 2 febbraio 1990 in un regolamento di conti a Campo de’ Fiori.

Secondo un’analisi della cripta, la tomba di De Pedis si troverebbe in un piccolo ambiente, una stanza accessibile tramite una porta in ferro. Le chiavi del cubicolo sono in possesso solo del rettore e di Carla Di Giovanni, vedova De Pedis. La tomba sarebbe molto simile a quelle realizzate per la Santa Sede. Poco distante, sempre nella cripta, è presente un ossario composto di resti che un tempo erano depositati senza alcun criterio nei cunicoli della basilica. Si tratta di una dedalo di strettoie, ora chiuse, che un tempo permettevano di raggiungere anche la sede della scuola di musica dove la Orlandi studiava flauto.

A collegare la scomparsa della Orlandi con uno dei capi della banda della Magliana fu una telefonata giunta alla trasmissione Chi l’ha visto? nel settembre 2005. Una voce anonima (secondo una perizia del 2010 potrebbe essere quella di Carlo Alberto De Tomasi, figlio di “Sergione”, legato alla Banda della Magliana) affermò che per trovare la soluzione del caso Orlandi bisognava “vedere chi è sepolto nella cripta della basilica”. Sepolto inizialmente al cimitero del Verano in un loculo di famiglia, la vedova riuscì a farne traslare la salma a Sant’Apollinare grazie al via libera dell’allora arcivescovo vicario di Roma, Ugo Poletti, come già aveva spiegato il Viminale.

Il fratello di Emanuela: “Una novità importantissima”. La novità accende una luce di speranza per la famiglia Orlandi, da quasi trent’anni alla ricerca della verità. “La posizione dei pm, secondo cui personalità vaticane conoscerebbero la verità su Emanuela è importantissima. Ora mi aspetto una risposta dal Vaticano: questo silenzio sta diventando imbarazzante” ha dichiarato Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela. “Probabilmente i pm conoscono i nomi di queste personalità vaticane: mi auguro che li ascoltino – è l’auspicio di Orlandi – E da parte di questi esponenti della Santa Sede mi auguro un’azione spontanea: che siano loro stessi a presentarsi ai pm e a dire quel che sanno. Mi auguro anche una risposta ufficiale del Vaticano”.

Quanto al fatto che i pm non intendono aprire la tomba di De Pedis “mi stupisce perchè prima le intenzioni erano differenti, ma non ho mai pensato che lì ci fosse il corpo di Emanuela. Mi dovrebbero spiegare perchè, su disposizione della magistratura, ci hanno fatto il prelievo del Dna a tutti noi familiari e anche ai familiari di De Pedis e perchè fino a non molto tempo fa i pm hanno continuato a dire che l’avrebbero aperta. Fu lo stesso Capaldo a dirmi, circa un anno fa: “La apriamo prestissimo”. Non capisco cosa li abbia portati a cambiare idea”.