Nel febbraio del 2012, l’ultimo mese per il quale è disponibile una rilevazione certa, il tasso di disoccupazione nell’area euro ha toccato quota 10,8 per cento. Un dato particolarmente negativo che segna il decimo rialzo consecutivo su base mensile ma anche, e soprattutto, il livello più alto dal giugno del 1997. Come a dire, insomma, che nei Paesi della moneta unica non si sperimentava una crisi occupazionale così pesante da quasi 15 anni, quando ancora si ragionava e si scambiava in marchi, lire, dracme e pesetas. Allargando la visione all’intera Ue la situazione non migliora granché: la percentuale dei senza lavoro nell’Europa a 27 si attesta per il mese di febbraio al 10,2%, contro il 9,5% di dodici mesi prima.

I dati resi noti oggi dall’Eurostat, dunque, fotografano un continente ancora in profonda crisi. In termini reali le percentuali si traducono in 24,5 milioni di europei senza lavoro, di cui oltre 17,1 nella sola area euro. Rispetto al mese di gennaio, i posti di lavoro bruciati sono 167mila (162mila in Eurolandia).

Cifre molto significative, che dimostrano tuttora l’incapacità della regione di beneficiare dei segnali di ripresa che provengono dalle altri grandi aree dell’economia mondiale. Negli Usa, in modo particolare, si sta evidenziando da tempo una chiara tendenza al recupero dell’occupazione. Le richieste di sussidio presentate dagli americani nell’ultima settimana di marzo si sono attestate a quota 359mila, il livello più basso dal 2008.

Ma il dato complessivo rischia di essere fuorviante. Disaggregando le cifre, infatti, ad emergere è soprattutto il quadro di un continente nettamente spaccato in due tra nord e sud. Il livello più basso di disoccupazione si registra in Austria dove i senza lavoro sono il 4,2%. La percentuale sale al 4,9 in Olanda, al 5,2 in Lussemburgo e al 5,7 in Germania, resta sotto media in Italia (9,3%) ma esplode letteralmente in Grecia (21% nel dicembre 2011) e Spagna (23,6%), i due Paesi, per altro, in cui la situazione è peggiorata maggiormente nel corso dell’ultimo anno.

A destare particolare impressione sono soprattutto i dati relativi alla disoccupazione giovanile. Gli under 25 senza lavoro sono il 22,4% nell’Ue a 27 e il 21,6 nell’Eurozona. Le cifre più basse si registrano in Germania (8,2%) e Austria (8,3%), le più alte in Spagna (50,5%) e Grecia (50,4%). In Italia, rileva l’Istat, si è saliti a febbraio al 31,9%, il tasso più alto dal gennaio 2004. Guardando all’ultimo trimestre del 2011, si sale al 32,6%, il dato peggiore dal 1992.

Per quanto impietose, le cifre odierne non stupiscono particolarmente. L’Europa, di fatto, attraversa ormai una sostanziale stagnazione che si traduce nei casi più gravi in recessione ampia e conclamata. Sul fenomeno pesano ovviamente le politiche di austerità dettate dal fiscal compact Ue che determinano contrazione dei consumi e, di conseguenza, della produzione. Secondo Markit Economics, l’indice manifatturiero Pmi (Purchasing managers index) dell’Eurozona è calato a marzo a 47,7 – contro il 49 di febbraio – mantenendosi così, per l’ottavo mese di fila, al di sotto della soglia critica di 50, il confine tra l’espansione e la contrazione del settore. Migliora la situazione per l’Italia che segna 47,9 il livello più alto degli ultimi sei mesi, ma peggiorano in modo sensibile i dati delle maggiori economie del continente: la Germania scende sotto quota 50, la Francia totalizza invece 46,7, il peggior risultato dal giugno del 2009.

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