La corsa per accaparrarsi il marchio motociclistico più famoso del mondo si arricchisce di un nuovo contendente e ai sindacati, con in prima fila la Fiom-Cgil, corre un brivido sulla schiena. La Fiat infatti sembra bussare alla porta della rossa di Borgo Panigale per sondare il terreno, mandando in avanscoperta il suo più chiacchierato rampollo. “Mi considero un grande patriota e mi dispiacerebbe molto se la Ducati venisse venduta all’estero e finisse in cattive mani. I manager hanno fatto una richiesta economica esosa. Cosa farei se abbassassero le pretese? In quel caso sì. Potrei pensare davvero di farmi avanti con un’offerta”. A parlare è Lapo Elkann, che in un’intervista a Panorama Icon, in uscita giovedì prossimo, si è lanciato nella gara che vede già in pista Audi e Mercedes per l’acquisto della moto leggendaria e che proprio in queste settimane potrebbe vivere i momenti decisivi. Ieri, in serata, ha parlato di slancio patriottico, anche se in realtà un interessamento – seppur preliminare, come lo sono stati gli altri che si sono affacciati – ci sarebbe. Slancio patriottico si fa per dire: la Ducati non è più italiana da qualche anno, come ha già scritto Il Fatto Quotidiano. Lapo, comunque, è tornato sui suoi passi anche perché i sindacati hanno già detto di non gradire: né la Fiat né lui o la cordata che potrebbe mettere in piedi.
Nelle scorse settimane Andrea Bonomi, rampollo di quella che fu una delle più chiacchierate dinastie della Milano da bere, capo di Investindustrial, il fondo che detiene il 70 % di Ducati Motors, aveva annunciato la volontà di mettere in vendita il marchio per l’astronomica cifra di un miliardo di euro. In alternativa alla cessione si era anche parlato di un possibile ritorno a una quotazione in Borsa. Dopo poche settimane circolava voce di un accordo molto vicino con l’Audi, a sua volta in mano alla Volkswagen. La casa dei quattro cerchi avrebbe infatti, sino alla fine di aprile, un diritto di prelazione per l’acquisto. Si parla di 750-800 milioni e le trattative sarebbero arrivate alla fase delle verifiche finanziarie. I tedeschi di Ingostadt starebbero verificando i debiti della casa emiliana (che non dovrebbero superare i 200 milioni, nonostante inizialmente si parlasse di cifre molto più alte) di cui dovranno farsi carico.
Tuttavia sulle trattative continua a regnare l’incertezza e ancora nessuno si sente di escludere un possibile ritorno in gioco della Daimler, azienda proprietaria del marchio Mercedes. La casa di Stoccarda potrebbe proporre un prezzo di acquisto più allettante per Bonomi, che già con una vendita a 750 milioni all’Audi raddoppierebbe l’investimento fatto a suo tempo nel 2005 quando acquistò il marchio. Ma sebbene Daimler offra di più, il prezzo da pagare per la casa emiliana potrebbe essere una minore autonomia nella politica industriale della rossa. L’autonomia con Audi sarebbe, per contratto, maggiore.
Anche una possibile quotazione in Borsa, magari a Hong Kong, più verosimilmente a Piazza Affari, non è del tutto esclusa e anzi potrebbe convivere con la vendita di una parte del pacchetto azionario di Ducati sin possesso di Bonomi.
È in questo derby tutto tedesco, giocato tra Ingolstadt e Stoccarda, che si inserisce la dichiarazione del rampollo di casa Agnelli. Non è chiaro se le dichiarazioni di Lapo abbiano un preciso intento che viene dal Lingotto, una sorta di avviso ai contendenti. Viste le cifre in gioco, l’uscita di Elkann presupporrebbe, alle spalle, un interessamento di Fiat.
E se finora i sindacati avevano guardato con favore alle trattative di vendita e all’arrivo dei tedeschi alla guida della rossa di Borgo Panigale, l’ipotesi solo adombrata di un avvicinamento di Fiat alla Ducati lascia perplessi. “Mi auguro di no. Non mi pare che la Fiat voglia sviluppare un discorso industriale serio in Italia e sarei molto preoccupato per le relazioni sindacali”, spiega a ilfattoquotidiano.it Bruno Papignani, segretario Fiom di Bologna. Nella motor valley emiliana, che negli ultimi tre anni ha visto compiersi una strage di posti di lavoro, con aziende del calibro di Malaguti, Verlicchi, Minarelli, Morini (che ora ha ripreso a costruire) chiuse o in stato di crisi. Uno dei pochi casi fortunati è stato quello della Lamborghini, la casa di Sant’Agata Bolognese da 15 anni in mano proprio all’Audi e che nonostante la crisi macina utili e non fa dannare i sindacati.
Se non fosse Fiat potrebbe addirittura essere Lapo in persona. Ma anche in questo caso i sindacati dicono no. Possibile anche che sia un genio, il rampollo di casa Agnelli. Oppure un brand, come scrive il Corriere della Sera, un “marchio”. Ma ai cancelli della Ducati di finire nelle mani del secondogenito di Margherita Agnelli e Alain Elkann, dicono che l’ipotesi non sarebbe per niente gradita.
Lapo, fino a oggi, nonostante l’incenso dei giornali, è conosciuto soprattutto per le riviste di gossip. Per le denunce di estorsione contro Fabrizio Corona, per le sue comparsate in discoteca a Milano piuttosto che a Parigi o a New York. Nella classifica degli italiani più influenti si è ritagliato il 41 posto, ma prima di lui c’è Fabio Volo e subito dopo Valentino Rossi. Può essere una classifica attendibile?
Sicuramente il ragazzo ha dell’estro. Ci vuole coraggio per indossare gli abiti del nonno Gianni con le scarpe da ginnastica e per colorare la Ferrari con adesivi mimetici. Ma lui è Lapo, può permetterselo. Chiunque si presentasse come fa il giovane Elkann sarebbe preso a pesci in faccia. Come quando parcheggia la jeep sulle rotaie del tram a Milano. Ma lui è Lapo, può farlo. La dicono lunga quei geniacci della Gialappa’s, quando a Mediaset potevano ancora lavorare, riprendevano le sue interviste e le sottotitolavano. Il modo migliore per accorgersi che quello che diceva non aveva né capo né coda. Sì, perché la erre limata degli Agnelli sicuramente ha ancora qualcosa di magico, e nella erre di Lapo il nonno aveva riposto molta fiducia. Aveva – dicono i biografi di casa Agnelli – intuito che quel ragazzo avesse un mix di fantasia e intelligente che avrebbe portato a ringiovanire la vecchia Fiat.
Così, dopo gli studi, tra Londra, Parigi e New York, la real casa l’aveva spedito negli Stati Uniti per lavorare al fianco di Henry Kinnsinger, come il nonno voleva. Il compito di Lapo era quello di seguire l’ormai anziano consulente di John Kennedy e imparare soprattutto a relazionarsi col mondo. Non doveva fare altro, osservare Kissinger.
Di quella lezione non sappiamo cosa gli sia rimasto. Sicuramente Kissinger ha potuto far poco perché Lapo è rimasto il brand. Entra e esce dalle classifiche di Vanity Fair più per gli abiti che riesce a portare con disinvoltura (per quattro volte la rivista americana lo ha votato come uomo meglio vestito al mondo) che non per le relazioni industriali. Tanto che in Fiat lavora, ma le azioni che aveva sono tutte passate nelle mani del fratello John per un miliardo e mezzo di euro. Rientrato dagli Stati Uniti è finito in una brutta storia di droga e sesso che l’hanno allontanato dall’azienda di casa. Lo spedirono un’altra volta di là dall’Oceano per disintossicarsi, in una clinica in Arizona, e aspettare che passasse l’interesse mediatico. Una volta rientrato Lapo è tornato Lapo, però. E Lapo vuol dire vestiti, scarpe da ginnastica, macchine personalizzate e fidanzate, tante, fino a far rientrare nel cerchio magico anche una cugina di secondo grado, Bianca Brandolini d’Adda.
Oggi Lapo dice che potrebbe fare un’offerta per la rossa di Borgo Panigale che non è una donna, ma si chiama Ducati. L’idea di Lapo è quella di fare quello che fece il cugino Giovanni alla Piaggio di Pontedera: rilanciare il brand, appunto. E magari riposizionarsi in prima fila per rientrare in un posto di vertice alla Fiat.
di Emiliano Liuzzi e David Marceddu