Marco ha 28 anni, studia scienze politiche, ma la sua fonte di (alto) reddito è il "Texas Hold'em". Per molti, il tavolo verde sul web è un hobby, mentre per tantissimi è una vera e propria mania che può sfociare in autentica patologia. In parlamento si dibatte sugli spot che pubblicizzano il gioco d'azzardo, ma la contraddizione è evidente visto che è lo Stato a gestire il settore attraverso l'Aams
video di Irene Buscemi
Ma se il proprio titolo universitario in Italia non frutta, vincere ai tavoli e ai tornei online porta a casa parecchi soldi. I semi-professionisti riescono a guadagnare al mese anche 12 mila euro. I big del settore arrivano a quota 30-50mila. Di professionisti in Italia se ne contano un centinaio tra cui spicca Dario Minieri, romano, 27 anni, laurea in Farmacia, l’unico ad aver vinto ai campionati del mondo e a portassi a casa un 1 milione e 300mila euro.
Per tanti il gioco online è un hobby, un diversivo, un divertimento. Nell’ottica di Marco è un lavoro in piena regola. “Bisogna organizzarsi, razionalizzare la giornata tra studio, lavoro e vita sociale, darsi degli orari”. Chi gioca online passa dalle quattro alle cinque ore davanti al computer. E’ questa la durata di una sessione “sit and go” o “cash game”. Più di 24 ore davanti allo schermo se si gioca nei tornei online. In una singola sessione si gestiscono anche 25 tavoli contemporaneamente, tavoli da due fino a sei giocatori. “Chi è abile non ha difficoltà – afferma Marco – ovviamente questo ti estranea dal mondo esterno, se mi chiamano o mi parlano durante la sessione non ricordo nulla”.
Il lungo o lunghissimo periodo nel Texas hold’em è più importante del breve, sottolineano i giocatori esperti. Bisogna affrontare dei “bad run”, periodi negativi, ma se si va avanti si riesce ad ammortizzare le perdite. E il gioco di logica trionfa sulla fortuna e sui giocatori avventati a cui il caso spesso regala all’inizio alcune mani. Sembra una regola macroeconomica trasferita nel gioco d’azzardo. E in effetti è così che bisogna vedere il mondo del poker online, vederlo come un business in piena regola, con un trend in crescita. Nel 2011 ha raccolto circa 9 miliardi di euro, rispetto ai 4 miliardi del 2010, il 10% della raccolta complessiva lorda del settore gioco d’azzardo che ammonta a 80 miliardi. Nel complesso il settore rappresenta oggi il 5% del Pil italiano, e rispetto al 2008 (47 miliardi) registra un 30% in più. Slot e videolotterie hanno racimolato nel 2011 il 50% delle entrate, con 44miliardi. Lotterie istantanee e Gratta e Vinci muovono un giro d’affari di 10 miliardi. Il Lotto tradizionale raccoglie circa 7 miliardi. Il poker online dunque è nel suo momento d’oro: al terzo posto nella lista dei giochi più apprezzati in Italia, con 2,6 milioni di utenti e 800mila “aficionados”, secondo il Codacons.
“Se si può parlare di dipendenza nel mio caso è più una dipendenza economica e di stile di vita. Se ti abitui alle grandi cifre difficilmente puoi farne a meno e fare un lavoro normale dove guadagni 1500 euro” ci racconta Marco, nel suo lussuoso appartamento all’Eur “ ma di sicuro non voglio fare questo per tutta la vita, perché richiede un livello di stress mentale notevole”. Secondo Marco sono invece i giocatori meno esperti, quelli improvvisati che possono manifestare vere patologie, cadere nel vortice della dipendenza, del bisogno di vincere ad ogni costo. Ci sono due approcci insomma secondo i professionisti del poker: uno meramente ludico, l’altro tecnico-scientifico. Il gambling, la dipendenza, interessa più la prima categoria.”A me snerva stare al computer, non sono un appassionato di poker, e lo faccio soltanto per un ritorno economico. Ma online capita di incontrare molti soggetti che hanno problemi di gioco d’azzardo. Può succedere che anche tra i professionisti vi sia un approccio negativo, molto infatti dipende dall’equilibrio di una persona”.
Secondo una ricerca dell’Ifc Cnr sono proprio i giovani più istruiti a giocare di più, ma il gambling colpisce sopratutto uomini con bassa istruzione e che manifestano altre dipendenze, come il fumo, l’alcol, problemi alimentari o che fanno uso di psicofarmaci. Su 17 milioni di italiani che giocano, secondo la ricerca, 500mila hanno seri problemi con il gioco d’azzardo. E la percentuale di rischio è molto alta tra i giovani dai 15 ai 24 anni. Inoltre secondo lo studio i giochi che producono fenomeni di “addiction” sono sopratutto le macchinette elettroniche, qualsiasi tipologia di scommesse, e il Texas hold’em che ha però un profilo di utenti diverso dai giochi basati sulla pura fortuna, cosiddetti “Luck”, perché necessita di “skills”, abilità particolari. Per questo attrae grandi menti al pari degli appassionati di scacchi, utenti con un livello di istruzione medio-alto.
“Visto il nesso con altre dipendenza, possiamo affermare che il gioco d’azzardo è una patologia. E dai dati che abbiamo è un fenomeno sociale in crescita – afferma la dottoressa del Cnr Sabrina Molinaro – Gli spot non aiutano, soprattutto se diffondono modelli positivi. Però più che guardare agli spot, io porrei l’attenzione sulla disponibilità dei giochi. In pochi anni in Italia e nel mondo si sono moltiplicati i luoghi in cui poter giocare. Aumentando la disponibilità sono aumentati i giocatori”. Molinaro ricorda anche il dato sugli adolescenti: un milione di giocatori risultano minorenni, nonostante la legge di stabilità del 2011 vieti a questa categoria di giocare per soldi. Divieto eluso ogni giorno sia nei punti vendita e nei tabacchi, sia online dove è facile aprire un conto a nome di qualcun altro. Molti giocatori di Texas hold’em rinomati nell’ambiente sono 18enni, con un esperienza alle spalle. E proprio i Monopoli di Stato hanno realizzato una campagna pubblicitaria andata in onda in febbraio, e subito ritirata,”la prima volta non si scorda mai”, rivolta ad un target a cui per legge è vitato il gioco d’azzardo.
La dipendenza è legata agli spot? Intorno a questa domanda ruota il dibattito parlamentare. Proprio il Pd circa dieci giorni fa ha presentato alla Camera una proposta di legge per vietare le pubblicità delle aziende che operano nel settore. A Marco però tutto ciò sembra incoerente. “Le piattaforme su internet hanno avuto delle concessioni da parte dello Stato, il poker online o il casinò online sono un vero business che ha fatto lievitare le entrate erariali. Mi sembra un controsenso prima legalizzare e poi bloccare gli spot”. Per Marco il gioco d’azzardo è come se fosse un Frankestein creato dallo Stato. E come nel libro di Mery Shelley adesso il governo cerca di fermare una sua creatura, frutto delle politiche di liberalizzazione del settore.
Tutto parte nel giugno 2009, quando il decreto Abruzzo diventa legge dello Stato. Per accrescere le entrate erariali si passa dal monopolio al mercato libero: da tre maxi concessionarie, Snai, Sisal e Lottomatica a centinaia di altri operatori presenti nel mercato. Il settore dell’online è il più appetibile, PokerStars, Eurobet, PowerPoker, Gioco Digitale sono tra i nuovi competitors. Il settore diventa in pochi anni saturo. Si assiste ad una guerra spregiudicata a colpi di spot e banner per conquistare utenti e i possibili giocatori. Non c’è limite al business, la legge non prevede obblighi o freni per loro. Gli spot sono vitali dunque per concorrere nel mercato. Ma addirittura per le tre grandi aziende del settore, Snai, Sisal e Lottomatica, i contratti di concessione con Aams (Amministrazione autonoma monopoli di Stato) prevedono: obblighi di fatturato e obblighi di investimenti pubblicitari per una quota del 1,8% della raccolta precedente. E se dopo due bimestri non si raggiunge il risultato previsto, la sanzione è la revoca della concessione. Ecco l’incoerenza di cui parla Marco. E’ proprio lo Stato che obbliga per contratto a realizzare spot o campagne promozionali, come “gioca il giusto” della Sisal. E’ proprio lo Stato ad aver ampliato a dismisura i luoghi in cui poter giocare, ad aver trasformato i bar e i tabacchi in mini-casinò, ad aver liberalizzato il settore e a non proteggere i minori a cui per legge è vietato giocare. Ed è sempre proprio Aams ad aver realizzato la campagna pubblicitaria “la prima volta non si scorda mai”.
Se da un lato la liberalizzazione ha permesso una maggiore legalità, facendo emergere diverse sacche sommerse del settore, dall’altro è il motivo per cui oggi il gioco d’azzardo è un settore in grande espansione nonostante la crisi. Il gioco d’azzardo è oggi la terza industria del Paese per fatturato, dopo Eni e Fiat, con seimila aziende, ventimila dipendenti, centomila considerando l’indotto. In Italia si calcolano 140mila punti vendite e 400mila slot-machines prodotte, il 10% in più della media europea. Altro record italiano è la spesa pro capite salita dai 400 euro nel 2008 ai 1000 euro del 2011, secondo il Censis. Le regioni del Sud e le città come Pavia, Teramo, Pescara, Verbania, Como e Sondrio detengono il primato di spesa dai 1600 ai 1300 euro cadauno. “Per far fronte a questi numeri non bastano le parole del ministro Renato Balduzzi, o del ministro per la Cooperazione internazionale Andrea Riccardi, nonostante i buoni propositi. Bisogna che scenda in campo il ministro dell’Economia, il presidente del consiglio Monti o che venga affidata una delega per i giochi, oggi assente” ci dicono gli esperti di settore.
“Siamo dinanzi ad uno Stato che conosce poco le regole e le leggi che esso stesso impone”, è la loro denuncia. Per questo se non si interviene con una strategia mirata, un codice di autodisciplina, non si rivedono i contratti di concessione o non si convocano al più presto le parti in gioco, “basta agli spot o più controllo alle macchinette” restano solo parole, affermano. Belle parole da slogan pubblicitario.