Pasqua a Gemonio. Potrebbe essere il perfetto titolo di un film dei fratelli Vanzina, invece è la realtà. Stavolta il protagonista non è un ricco avvocato con l’accento romanaccio dedito a cornificare la moglie, né un conte con il cognome in grado di ricordare qualche esotica pratica sessuale, magari di gruppo. Anche se, bisogna ammetterlo, l’eroe della storiella che riempie le prime pagine dei giornali è dedito a un certo celodurismo da parecchio tempo e non disdegna il ricorso alla parolaccia da osteria e al dito medio alzato. Insomma, Umberto Bossi finisce come il protagonista di una perfetta commediola all’italiana. La storia della Lega Nord, della gran Padania, dei barbari sognanti, della rivoluzione coi fucili fatta dagli onesti pagatori di tasse, l’epopea dei celti de noantri rischia di terminare così. Come un film di serie b italianissimo, stile Pierino e i compagni di bagatelle. Ci manca solo la pernacchia del super-meridionale Lino Banfi e si raggiunge la perfezione estetica e narrativa.

Ecco, l’effetto catarsi è proprio questo: il terrone, perché corrispondente al (falso) modello che del terrone ha in testa e che ha aborrito come il gran nemico per tanto tempo, è proprio lui. L’Umberto. Il capo. Il Senatúr. L’arcitaliano è il padano dei padani, il leader dei rivoluzionari del nord. Vederlo nelle immagini di inizio carriera, con la maglietta color cachi da grande magazzino, gli occhiali anni Settanta, un po’ retrò, il sigaro in bocca e il capello ribelle, fa quasi tenerezza. L’eroe, ecco la verità, ha ceduto a tutte le tentazioni attribuite all’antieroe, come nel più classico dei romanzi noir, quando alla fine l’assassino non è mica il maggiordomo, ma il protagonista della storia. E poco importa se se ne va dalla sede di via Bellerio sbattendo la porta, se tenta per un’ultima volta di interpretare la parte del leader tutto d’un pezzo, che nulla sapeva, così puro da venir tradito persino dai figli, come un contemporaneo Cesare, pugnalato alle spalle. Lo scandalo è, comunque, un affare di famiglia, da filmetto, banale, sul paese peggiore.

È per questa ragione che la vicenda Belsito è, in un certo senso, liberatoria. Perché dimostra la fragilità della tesi leghista, la superficialità del populismo del Carroccio, la debolezza politica della fregnaccia padana. L’epopea dell’Umbertone nazionale rischia di terminare a tarallucci (pugliesi) e vino.

Pasqua a Gemonio, allora. E chissà che Natale non sia a Rebibbia.

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