Un inaspettato giro di walzer ha rimescolato carte e poltrone nella sede della potente congregazione dei figli dell’immacolata concezione, custode delle azioni degli ospedali romani Idi e San Carlo di Nancy, e dell’omonimo gruppo farmaceutico con sede a Pomezia. Dal gruppo, fortemente indebitato, divenuto oggi l’obiettivo di importanti società specializzate nella gestione della sanità privata, escono padre Franco Decaminada, rinominato nei mesi scorsi, quando si temeva l’imminenza di un crack, il don Verzè alla romana; lascia il direttore amministrativo Domenico Temperini, un passato – non troppo lontano – in An, patron degli eventi Elea, camera di compensazione tra la politica vaticana e i vertici istituzionali dello stato italiano.
Un benservito anche per l’ex agente dell’ufficio K del Sismi Antonio Nicolella, un passato da incursore della marina, fino a ieri uomo di fiducia di Decaminada, messo all’interno degli ospedali romani ad occuparsi di personale e di logistica e coinvolto in una strana attività in una società interessata al petrolio del Congo, raccontata da Il Fatto quotidiano lo scorso dicembre. Ai vertici del gruppo è stato quindi chiamato Giuseppe Incarnato, manager proveniente dal gruppo Unicredit.
Nella partita per il riassetto degli ospedali romani dell’Idi è poi arrivato un uomo di peso di Comunione e liberazione, l’avvocato Alberto Sciumè, fratello del più noto Paolo, condannato da poco in primo grado per il crack Parmalat. E’ lui l’advisor della delicata operazione di cessione delle quote oggi in mano alla congregazione, scelto – raccontano fonti interne – per il suo recentissimo passato di traghettatore del Nerviano Medical Sciences, centro di ricerca milanese dell’Idi, salvato grazie all’intervento della Regione Lombardia, che lo ha acquistato dalla congregazione di padre Decaminada lo scorso dicembre. Un centro di ricerca che nel 2007 ricevette un pesante finanziamento pari a circa 130 milioni di euro proprio dal gruppo bancario Unicredit.
Dopo l’uscita del management dell’Idi il comando è ritornato momentaneamente al generale della Congregazione, padre Aleandro Paritanti, che ieri era chiuso nella stanza della presidenza dell’ospedale dermatologico romano, rispettando il voto più prezioso in questi casi, il silenzio. “Posso solo confermare che vi è stato un interesse preliminare del gruppo Miraglia e della famiglia Angelucci”, ammette. Non una parola di più sugli altri imprenditori che in queste ore inizieranno ad accedere al data room, il sancta sanctorum riservato dove verranno messi a disposizione dei possibili acquirenti i bilanci invisibili, custoditi normalmente dietro il vincolo della riservatezza stabilito dagli accordi stato-chiesa. Secondo le indiscrezioni sono sette le compagini imprenditoriali pronte a contendersi l’ambito polo ospedaliero che già hanno chiesto dettagli per presentare l’offerta.
L’uomo forte in questa fase è senza dubbio l’advisor, l’avvocato Alberto Sciumè, titolare dello studio che avrà il compito di valutare la proposta più remunerativa per il rilancio dell’Idi. Sciumè non è un nome nuovo per il gruppo. Vicino all’ambiente del presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, oggi ci tiene a sottolineare la sua distanza dal fratello Paolo, anche lui avvocato, considerato molto vicino a Silvio Berlusconi – è consigliere dal 2003 di Banca Mediolanum – e coinvolto in diverse indagini.
Tra i gruppi che hanno mostrato l’interesse a rilevare le quote dell’Idi – con una spesa che potrebbe raggiungere diverse centinaia di milioni di euro – si sussurra che vi siano gli Angelucci. Il capostipite Antonio, oggi senatore del Pdl, ha avuto una lunghissima carriera, partita da una posizione d’inserviente in un ospedale romano e arrivato oggi al controllo del gruppo Tosinvest, specializzato nella lucrosissima riabilitazione. Sul capo della famiglia Angelucci pende ancora oggi un’inchiesta della Procura di Velletri, che ha ipotizzato – arrivando a chiedere, senza successo, l’arresto del senatore Pdl – diversi reati, tra i quali la truffa al sistema sanitario regionale.
Avrebbe mostrato interesse anche la Giomi, il cui titolare Emanuel Miraglia possiede diversi nosocomi in Italia, tra questi l’istituto chirurgico ortopedico traumatologico di Latina (Icot), balzato alle cronache di recente per aver ospitato la succursale di cardiologia della Sapienza dove si è fatto le ossa Giacomo Frati, enfant prodige della medicina, figlio del rettore della Sapienza Luigi Frati. I Miraglia controllano una quota anche di Eurosanità – spa il cui direttore generale è Tullio Ciarrapico, figlio di Giuseppe, senatore Pdl pluricondannato – insieme con gli eredi Caracciolo e Unicredit. Sarà forse un caso, ma l’ultimo piano di ristrutturazione del San Carlo di Nancy – gioiello romano della congregazione dei figli dell’immacolata concezione – prevede una sostanziale riconversione, portando i posti letto di ortopedia e traumatologia a 80. E c’è di più: tra i soci delle società di Miraglia c’è l’Unicredit, banca che avrebbe in mano buona parte dei debiti dell’Idi e che potrebbe quindi avere un interesse nel rilevare parte delle quote. Una indiscrezione che uscirebbe confermata anche dalla nomina del nuovo direttore della struttura.
di Andrea Palladino e Nello Trocchia
La situazione economica dell’Idi è in ogni caso preoccupante. Secondo molte – ed insistenti – voci, mai confermate ufficialmente, vi sarebbero oltre 300 milioni di euro di buco. Una cifra che ha preoccupato non poco la Santa Sede, che nei mesi scorsi aveva inviato un visitatore apostolico per verificare i conti della congregazione. “Il mio avvicendamento era previsto – spiega l’ormai ex direttore Domenico Temperini a ilfattoquotidiano.it – la situazione non è rosea, ma quando è arrivato il visitatore apostolico per fare due conti ha dato un parere positivo sulla situazione dell’istituto. La regione passa 90 milioni di euro all’anno, ne paghiamo 78 di personale: che altro bisogna aggiungere?”. Ora la Congregazione lavora per trovare un nuovo direttore generale che garantisca un futuro all’istituto, sommerso dai debiti: “Ci vuole qualcuno che superi la guerra intestina che ha portato a questa situazione”, aggiunge Temperini. Una persona che vada bene a tutti, anche al cardinal Tarcisio Bertone? “A quei livelli non si schierano – conclude sorridendo il manager – non tifano, stanno semplicemente con chi vince”.