Uscire dall’Euro è davvero possibile? A dire il vero potrebbe diventare necessario, e per questo oltre la Manica è stato indetto un concorso per premiare la miglior exit strategy. Si tratta del “Wolfson Economics Prize” e ci hanno partecipato 425 economisti, ma non solo, da tutto il mondo. L’iniziativa è stata lanciata da Lord Simon Wolfson, membro dei Tories e a capo di un’importante azienda di abbigliamento inglese. Invitante il premio: 250mila sterline tonde tonde, somma che ne fa il secondo premio più lucrativo al mondo, dopo il Nobel. Già selezionati i cinque finalisti: un team della società di consulenza Capital Economics guidato da Roger Bootle, l’investitore privato Cathy Dobbs, Jens Nordvig e Nick Firoozye di Nomura Securities, Neil Record di Record Currency Management e Jonathan Tepper di Variant Perception. Il vincitore verrà proclamato a luglio, nel frattempo i finalisti, già premiati con 10mila sterline, potranno mettere a puntino il loro progetto.
Il loro compito è tutt’altro che facile: mettere a punto la migliore strategia per uscire dall’Euro evitando un vero e proprio tsunami in tutta Europa, in termini di crollo della moneta, fuga di capitali e panico di mercati di fronte all’evidenza che l’Euro, fino ad oggi visto come un fortino, può davvero fallire. L’approccio forse più interessante è quello di Jens Nordvig e Nick Firoozye, secondo i quali gli investitori che detengono asset (azioni o titoli) in euro all’interno della legislazione nazionale dovrebbero averli riconvertiti nella nuova valuta nazionale (lira, franco, dracma, ecc…), mentre per gli asset detenuti all’estero ci vorrebbe una seconda moneta europea transitoria (ECU-2).
Il ruolo principale di questa moneta dovrebbe essere di evitare possibile dispute legali e minimizzare il crollo sul mercato di un titolo a causa dell’eccessiva svalutazione di una moneta. Sì perché è principalmente questo che fa paura ai grandi investitori (con buona pace dei piccoli risparmiatori): vedere i propri asset crollare in seguito all’uscita dall’Euro che, ad oggi, pur se zoppicante, sta garantendo una certa sicurezza grazie all’interventismo e alle iniezioni di contante da parte degli Stati nazionali. Insomma, tautologia a parte, a far paura è proprio il “panico” dei mercati, per evitare il quale i partecipanti al concorso suggeriscono vari escamotage, dall’uscita dall’Euro di sorpresa (Jonathan Tepper), ai piani di dissoluzione della moneta tenuti segreti fino all’ultimo (Neil Record).
Il fatto è che sempre più economisti sono convinti che questi salvataggi più che una cura siano un accanimento terapeutico su un paziente impossibile da guarire. All’ultima conferenza stampa sul premio Wolfson a Londra, tutti e cinque i finalisti si sono detti convinti che la strategia seguita finora dall’Ue funzioni solo nel breve termine. E i fatti sembrano dare loro ragione. Dopo il primo bailout alla Grecia di 110 miliardi lo scorso luglio, ne è seguito un’altro di 130 miliardi approvato a marzo con fatica ma che sui mercati non ha sortito gli effetti desiderati. Tant’è che a Bruxelles si è cominciato a parlare dell’ipotesi di un terzo bailout. Poca fiducia anche sul fondo salva Stati Ems, che il prossimo luglio prenderà il posto dell’attuale Efsf, e che l’Ecofin informale dello scorso weekend di Copenaghen ha portato da 500 a 800 miliardi. Secondo Capital Economics, infatti, si tratta di una cifra che non basterà nemmeno a soddisfare i bisogni di Spagna e Italia da qui a dicembre 2014, tanto più se il deficit di Madrid non sarà riportato sotto la soglia del 5,4 per cento concesso da Bruxelles.