Se fossi un’elettrice dura e pura della Lega come tanti ce ne sono, una che lavora onestamente da mattina a sera, una che ha sempre creduto che la Lega fosse l’unica bolla di aria pulita nel malaffare generale, e mi raccontassero che proprio Umberto Bossi, il leader in cui ho sempre creduto, ha preso soldi del partito e di tutti, soldi miei, per pagare case, auto e lussi di famiglia, sarei completamente sconvolta. Perciò all’inizio cercherei di negare la realtà, dicendomi che no, non è possibile, sono tutte invenzioni. Poi starei malissimo, mi crollerebbe il mondo, scoppierei a piangere. Avrei perciò un disperato bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi, in cui continuare a credere.
C’è una storia che potrebbe permettermi di sopravvivere: Bossi inconsapevole e pulito, Bossi tradito dagli affetti più cari. Maroni? No, la moglie, l’amica della moglie, i figli e addirittura Renzo, il successore designato. È solo immaginando un dolore molto più grande del mio, immenso, quello di un padre tradito persino dal figlio prediletto, che potrei asciugare le lacrime e riprendere a lottare.
Sarei ugualmente sconvolta, ma capirei: la vita è dura e certe cose succedono, come si dice, «nelle migliori famiglie». Mi sentirei perciò ancora più solidale col capo, divenuto all’improvviso un eroe tragico, e trasformerei il mio dolore in un impegno ancora più forte, in azioni concrete: per dimostrare a tutti che il partito in cui ho sempre creduto non si farà abbattere e per contribuire a ripulirlo. Al punto che potrei diventare un’attivista, se finora mi ero limitata al voto, o un’attivista ancora più impegnata, se già lo ero.
È proprio questa la storia che sta emergendo (vedi ad esempio questo articolo del Corriere), ed è una storia perfetta per gestire la crisi perché è esattamente ciò di cui la cosiddetta «base» ha più bisogno. Anche per questo non credo affatto che la Lega finisca con Bossi.
«Mio figlio all’inizio ha cercato di difendersi…»