Diritti

Palestina: niente stato né giustizia per le vittime

Ammetto che avrei preferito non parlare di Palestina proprio subito, consapevole della polarizzazione che questo argomento genera, ma gli eventi di questi giorni lo impongono.

Il Procuratore della Corte Penale Internazionale ha infatti annunciato questa settimana che non aprirà le indagini sui presunti crimini commessi durante l’operazione militare israeliana “Piombo fuso” sulla Striscia di Gaza del dicembre 2008-gennaio 2009.

Certamente non si trattava di una decisione facile e le due pagine scarne di comunicato dell’ufficio del Procuratore non sono certo abbastanza per spiegare la scelta di non indagare le centinaia di gravi episodi criminali (commessi da entrambe la parti, ma in particolare dall’esercito israeliano), peraltro documentati da un Report di oltre 600 pagine commissionato dall’Onu (il c.d. rapporto Goldstone). Le due paginette divengono poi scandalose specie se ci sono voluti tre anni per partorirle.

A parere del Procuratore, a causa dell’incerto status della Palestina a livello internazionale, la Corte non può esercitare la sua giurisdizione sui presunti crimini commessi a Gaza sebbene l’Autorità Palestinese abbia espressamente accettato tale giurisdizione gia’ nel gennaio 2009 (Israele invece, pur potendo, ha scelto di non ratificare lo statuto della Corte). Il Procuratore dà atto del fatto che ben 130 stati hanno già riconosciuto ufficialmente la Palestina come stato (con il quale intrattengono relazioni diplomatiche), ma cio’ non sarebbe sufficiente di fronte al mancato riconoscimento in sede Onu.

Come noto, infatti, il tentativo fatto da Abu Mazen lo scorso settembre, di ingresso della Palestina all’Onu (dove ad oggi siede solo come ‘osservatore’) e’ rimasto monco, sospeso, privo di una decisione finale, nonostante l’ampio consenso registrato in sede di Assemblea Generale.

D’altra parte proprio le dimensioni striminzite di questo comunicato danno la dimensione dell’imbarazzo nel quale il Procuratore si trova: stretto tra l’incudine (delle pressanti richieste delle vittime e delle organizzazioni per i diritti umani che da anni chiedono a gran voce di porre fine all’impunità che troppo a lungo ha caratterizzato questo conflitto) e il martello (delle pressioni politiche, enormi, esercitate da Israele cosi’ come dal suo alleato numero 1, gli Usa, con la silenziosa complicità europea, affinchè la giustizia internazionale non si occupi di questo conflitto).

Come commentato da Amnesty International “questa pericolosa decisione [del Procuratore] espone la Corte Penale Internazionale all’accusa di essere politicamente motivata ed è in contrasto con l’indipendenza della Corte”.

Certamente, agli occhi di chi scrive, si tratta di un capitolo buio della giustizia penale internazionale e di una importantissima occasione persa per riaffermare i principi del diritto, in primis la necessaria protezione dei civili, in un conflitto che purtroppo vede da oltre 60 anni proprio i civili nell’occhio del ciclone. Occorre notare infine che – se aperte – le indagini avrebbero riguardato entrambe le parti: tanto gli attacchi indiscriminati e i crimini di guerra dell’esercito israeliano, quanto il lancio di razzi da parte dei militanti palestinesi da Gaza nel sud di Israele.