Oltre ogni tempo massimo ed oltre i limiti della decenza in termini politici, data la sua manifesta impossibilità di guidare un partito, sono arrivate le dimissioni di Bossi, annientato alla fine da una prolungata gestione del bilancio della Lega ad uso familiare e familistico.

E la scelta di  un personaggio come Belsito, indagato per riciclaggio e truffa aggravata a cui qualsiasi maggiorenne di medio buon senso e minima moralità già ad una prima occhiata, non affiderebbe nemmeno i conti del fornaio, dà pefettamente l’idea di quello che il partito nato per affossare “Roma ladrona” si aspettava dal suo tesoriere.

Quello che emerge dalle intercettazioni è in primis lo spettacolo indegno dell’ ascesa travolgente di un tesoriere dal curriculum irresistibile che gestiva  la cartella Family , beneficiava illimitatamente il cerchio magico presumibilmente per conto del grande capo a un passo dall’interdizione, e ovviamente lo teneva contemporaneamente in scacco.

Ma c’è anche una ragnatela di soldi elargiti per gli scopi più “disparati”dal tesoriere  plenipotenziario: ad un consigliere regionale affinché favorisse il suo ingresso nel cda di Fincantieri,  ai fedelissimi Rosy Mauro e Calderoli, ai figli del senatur per casa, macchine, lauree e diplomi comprati, a Brancher, storico collaboratore Fininvest, ministro per 17 giorni e soprattutto grande artefice della “proficua”  riappacificazione tra Bossi e Berlusconi.

Lo “scandalo della Lega”, l’ennesimo nell’elenco inimmaginabile in qualsiasi altro paese civile che ha stilato Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano del 5 aprile, e che, per l’ennesima volta, fa sorgere la domanda “com’è che siamo arrivati a questo punto?” cade casualmente nel ventennale di Tangentopoli e di Mani Pulite a cui il Bossi delle origini tributava un consenso incondizionato.

Quello che è accaduto in questi venti anni è allo stesso tempo impossibile e facilissimo da sintetizzare in poche parole.

La transizione da una partitocrazia corrotta minata dal finanziamento illecito alla  cosiddetta seconda repubblica, nata  dal referendum del ’93 con il quale i cittadini votarono in massa per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, si è trasformata nella peggiore restaurazione con una casta di corrotti, collusi, conniventi e “distratti” che in due decenni hanno aumentato del 600% i “rimborsi elettorali”, mentre in Parlamento giacciono ben 17 proposte su trasparenza e bilanci dei partiti.

Se poi si ha l’ardire di porre la domanda agli onorevoli di destra e di sinistra sul quando tali proposte per controllare i bilanci e porre un limite ai finanziamenti saranno messe in discussione si raccolgono una serie di battute involontarie, gag, freddure, silenzi infastiditi e persino  rispostacce del tipo “non sarebbe il caso di lasciare in pace la gente?”

D’Alema per esempio che ha notoriamente le risposte più pronte degli altri, alla domanda semplice, semplice che gli ha posto il giornalista de ilfattoquotidiano.it, “perché non si riesce mai a discuterne?” ha ribattuto “chiedetelo agli altri.. . devo andare via, c’ ho da lavorare..”.

E solo qualche giorno prima, intervistato da Fazio a Che tempo che fa a proposito degli scandali che hanno travolto la politica e al “caso Lusi” aveva affermato che “quelli che ce l’hanno con la politica ce l’hanno con la democrazia” e che “la ragione degli scandali è la fragilità, la debolezza dei partiti“, dovuta “al loro apparire come oligarchie”. Inoltre sempre riferito a Lusi e situazioni analoghe aveva aggiunto che molte volte si ha a che fare con “protagonisti vari che hanno poco a che fare con i partiti”.

Chissà se anche a proposito di quello che ancora una volta la magistratura sta portando alla luce, questa volta in casa leghista e che ci dimostra inesorabilmente come la situazione attuale sia più disperata di quella di Tangentopoli, Massimo D’Alema vorrà ancora applicare queste categorie minimali ed auto-assolutorie per i partiti.

Anche se considerare la base leghista indignata,  contaminata dall’antipolitica e nemica della democrazia fa decisamente ridere, come ritenere Belsito un tesoriere per caso che ha poco a che fare con il partito.

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